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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

venerdì 21 dicembre 2012

BUON NATALE


E’ Natale

 


E’ Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

MADRE TERESA DI CALCUTTA 

AUGURI DI BUON NATALE 
AI RAGAZZI, AI SOCI, AI VOLONTARI,
 AGLI AMICI DI INHOLTRE E ALLE RISPETTIVE FAMIGLIE

lunedì 3 dicembre 2012

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ: UN 3 DICEMBRE PER UNA "SOCIETÀ INCLUSIVA"


Si celebra l'annuale appuntamento di riflessione e impegno sui diritti delle persone disabili. Il tema dell'edizione 2012 è: "Rimuovere le barriere per creare una società inclusiva e accessibile per tutti". Le Nazioni Unite: "Colmare il divario fra le buone intenzioni e le azioni concrete". Nel nostro paese e in tutto il mondo eventi e appuntamenti per festeggiare la ricorrenza: ecco quelli principali.
logo della Giornata internazionale delle persone con disabilità
ROMA - Una carrellata di appuntamenti vari e molto eterogenei sono in programma anche quest'anno per la celebrazione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, che ricorre il 3 dicembre. Celebrata a livello mondiale, la Giornata è da tempo diventata occasione di riflessione su tutti gli aspetti che riguardano la disabilità. Un'occasione speciale per discutere, individuare problemi specifici, fare il punto, incontrarsi, ma anche impegnarsi contro le discriminazioni e promuovere l'inclusione dei disabili.
LE NAZIONI UNITE - Il tema scelto dalle Nazioni Unite per la Giornata 2012 è "Rimuovere le barriere per creare una società inclusiva e accessibile per tutti". Nel messaggio inviato in occasione del 3 dicembre, il segretario generale Ban Ki-Moon ha ricordato che la sfida globale che il mondo ha di fronte è quella difornire a tutte le persone la parità di accesso che meritano e della quale hanno bisogno: "Dobbiamo sforzarci - scrive - di raggiungere gli obiettivi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, quelli di eliminare la discriminazione e l'esclusione e di creare delle società che valorizzino la diversità e l'inclusione". Il segretario generale dell'Onu ricorda anche che per raggiungere tali obiettivi e per "colmare il divario tra le buone intenzioni e le azioni attese da tempo", l'Assemblea generale delle Nazioni Unite terrà il prossimo anno una riunione ad alto livello sul tema della disabilità e dello sviluppo: lo scopo è quello di raccogliere le problematiche e i contributi delle persone con disabilità in modo che possano essere prese in considerazione nella redazione di una nuova agenda sullo sviluppo. La Giornata 2012 segna dunque l'avvio del percorso di preparazione a questo meeting di alto livello: al Palazzo di Vetro sono dunque previsti uno spettacolo musicale, una tavola rotonda sull'agenda "verso il 2015 e oltre" e la proiezione dei film che hanno partecipato allo "United Nations Enable Film Festival 2012".
GLI EVENTI MONDIALI - Anche singole agenzie delle Nazioni Unite celebrano la giornata. L'Unicef, ad esempio, prevede il lancio di una campagna di orientamento sulla disabilità rivolta espressamente al suo personale in tutto il mondo (con relativo video di sensibilizzazione e un questionario dedicato), mentre l'Unesco presenta i risultati del rapporto mondiale sull'uso da parte delle persone con disabilità delle nuove tecnologie per accedere alla conoscenza, con un focus specifico sull'apprendimento personalizzato per gli studenti disabili. A Vienna, invece, al Festival internazionale dei diritti umani, viene lanciato il Rapporto Project Zero 2013, con una particolare attenzione all'occupazione lavorativa delle persone con disabilità. "Overcome barriers", "Superare le barriere" è invece il progetto cofinanziato dall'Unione Europea realizzato dall'Aifo (Associazione amici di Raoul Follereau). La Giornata si celebra anche al Parlamento Europeo, con la presenza, il 5 dicembre, di 450 delegati di varie organizzazioni europee.
GLI EVENTI IN ITALIA - Come ogni anno, nel nostro paese vengono organizzati piccoli e grandi eventi per celebrare la giornata delle persone con disabilità. Eccone alcuni.
A Roma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, consegna alcune onoreficienze in occasione della Giornata internazionale. A Palazzo Valentini si celebra invece al ritmo di "Nulla su di noi senza di noi". Lo slogan del movimento internazionale delle persone con disabilità diventa una mostra fotografica: dal 3 al 10 dicembre, presso la sede della provincia di Roma, un percorso per immagini che racconta la storia, le azioni, la voglia di partecipazione: ad organizzare è la Fish. 
Sul tema scelto a livello mondiale andrà in scena un confronto organizzato dalla Simfer, la Società italiana di medicina fisica e riabilitativa, con la partecipazione di esponenti della Presidenza del Consiglio, del ministero della salute e di quello del Lavoro, oltre ad interventi del presidente e del direttore generale dell'Inail, del presidente del Pontificio Consiglio degli operatori sanitari, del presidente del Cip e di numerosi altri esperti, anche del mondo accademico e dell'associazionismo. Sempre nella capitale il 3 dicembre viene presentata anche la Carta dei servizi per il superamento delle barriere comunicative, realizzata da un tavolo permanente con Consiglio nazionale degli utenti, Agcom, le associazioni delle persone con disabilità e il Dipartimento Comunicazione del Ministero dello Sviluppo economico.
Nello stesso giorno viene inaugurata la nuova sede della biblioteca storica e mediateca visuale dell'Istituto statale per sordi, con i locali che si arricchiscono di una biblioteca per ragazzi, un'emeroteca, una sala lettura e spazio co-working, di un'aula polifunzionale e dei laboratori di informatica e di video editing: "Mediavisuale" sarà un vero e proprio polo integrato di informazione e documentazione sulla sordità. Sempre nella capitale, si premia lo sport paralimpico con un'iniziativa del Cip Lazio che premia tutti gli atleti che nel corso della stagione sportiva passata hanno vinto una competizione a livello regionale, nazionale e internazionale, dalle Paralimpiadi ai Giochi sportivi studenteschi.
Sempre a Roma, alla Luiss è prevista l'assegnazione del premio San Bernardino 2012 per la pubblicità socialmente responsabile: promosso dall'ateneo con l'Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei, con il patrocinio di Pubblicità Progresso e di SuperAbile Inail. vede sei finalisti in gara: Amref, CoorDown, Ferrovie dello Stato, Ponte del sorriso, Procter & Gamble, Timberland.
A Torino, che si segnala ancora una volta come città particolarmente attiva, è prevista un'intera settimana di convegni, mostre e dibattiti. Si cercherà di affrontare, fra gli altri, il tema dell'affettività delle persone con disabilità, ricordando che "amare ed essere amati è un diritto di tutti". Ma spazio anche alla mobilità e alla cultura, con un "open day" nei musei che aderiscono al progetto "Operatori museali e disabilità". Anche nel capoluogo piemontese non manca lo sport, con una dimostrazione sugli sport paralimpici riservata agli alunni delle scuole.
Fra i tanti altri eventi, a Manerbio (Brescia) si parla di progetti di vita per le persone disabili con la onlus "Insieme", mentre all'ospedale di Montecatone (Bologna) va in scena la presentazione dello sci per disabili da parte di FreeRider, che organizza giornate sulla neve in diverse località sciistiche italiane, garantendo alle persone con disabilità la possibilità di avvicinarsi in sicurezza a questa affascinante disciplina. A Verona il Premio Flavio Cocanari, assegnato dalla Cisl, viene assegnato al Centro Polifunzionale Don Calabria.

GIORNATA DISABILITÀ. NAPOLITANO: "COMPIERE OGNI SFORZO PER ASSICURARE UN EFFETTIVO SOSTEGNO"
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del 3 dicembre incontra al Quirinale un gruppo di giovani con disabilità e ricorda il ruolo delle famiglie nella presa in carico delle disabilità: "Comprendo le ragioni di chi chiede una particolare attenzione: abbiate fiducia nelle istituzioni". L'apprezzamento per le iniziative che si svolgono in tutto il paese.
Il Presidente Giorgio Napolitano in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità
ROMA - Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha celebrato la "Giornata internazionale delle persone con disabilità" al Quirinale incontrando un gruppo di giovani con disabilità che hanno partecipato ad alcuni stage organizzati dal Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica. Nel messaggio pronunciato nella circostanza, il capo dello Stato si è rivolto a tutti coloro che vivono la condizione della disabilità e ai loro familiari: "Sono le famiglie, nella stragrande maggioranza dei casi, - ha detto Napolitano - a prendersi cura delle persone con diversamente abili e lo fanno tra grandi difficoltà". "Desidero anche - ha proseguito - far giungere il mio vivo apprezzamento alle iniziative che si svolgono oggi in tutto il paese e che testimoniano l'esistenza di una fitta e attiva rete di associazioni e di servizi che si adoperano per attutire difficoltà, promuovere diritti e facilitare l'integrazione dei disabili". "Un ringraziamento particolare va - ha aggiunto - ai tanti volontari, tra i quali è di grande rilievo la presenza attiva degli stessi disabili e dei loro familiari, che rappresentano un esempio significativo di solidarietà e civismo".
"Nella difficile situazione finanziaria ed economica che il paese attraversa e che ha purtroppo acuito le condizioni di disagio delle categorie più deboli, ogni sforzo - ha poi rilevato il Capo dello Stato - deve essere compiuto per preservare e sviluppare gli importanti risultati già ottenuti per assicurare un effettivo sostegno alle persone con disabilità. Comprendo comunque le ragioni di coloro che vivono con sofferenza la loro condizione e chiedono una particolare attenzione: a loro va la mia solidarietà e l'invito ad avere fiducia nella risposta che attendono dalle istituzioni". "Le iniziative promosse dal mondo associativo, dalle famiglie e direttamente dalle stesse persone con disabilità - ha concluso il Presidente Napolitano - vanno apprezzate e incoraggiate: esse rappresentano elementi vitali per la nostra democrazia".
(3 dicembre 2012)
Tratto da SuperAbile INAIL


domenica 11 novembre 2012

Cody, il bambino con le protesi che cura i veterani


Ha 11 anni, sogna le Paralimpiadi. Visita i soldati rimasti mutilati in guerra che dicono: «Il suo sorriso è contagioso»

Cody McCasland, 11 anni
Kevin McCloskey è un veterano dell'Afghanistan. Una bomba esplose sotto il suo mezzo, maciullandogli le gambe, provocandogli ustioni, riempiendogli di schegge un occhio. Lauren, la sua fidanzata, vide un bimbo in tv. Correva. E sorrideva. Non aveva gambe, solo due piccole protesi. Cercò i genitori, Tina e Mike: «Vorrei che incontrasse Kevin». Fu così che Cody, il bimbo texano con le protesi che corre felice, e Kevin, l'eroe di guerra tornato a casa con le stampelle, si incontrarono. «Mi ha visto e ha detto: "Ciao, sono Cody". E ha cominciato a ballare». Sulle lame delle protesi. Era il suo modo per dirgli: «Ehi, puoi farlo anche tu!».


Cody McCasland aveva 7 anni, ora ne ha 11. Nato prematuro con una rara sindrome, gli hanno amputato le gambe quando aveva 15 mesi. Poi, anni da incubo: operazioni e blocchi respiratori. Lui e le protesi: non c'è sport che non abbia provato. Con un sorriso che fa innamorare. In acqua dai nove mesi, fra i 3 anni e i 6 saliva sui cavalli o giocava a baseball e calcio. Corre, salta, partecipa a minitriathlon, usa l' handbike . Soprattutto, nuota: «Il mio sogno è la Paralimpiade di Rio». Una sua foto, con lui in pista, le sue protesi e il suo sorriso meraviglioso lo ha fatto diventare una star della rete. «So che ispira gli altri e questo mi onora»: Tina, allora insieme a Mike, non gli ha mai precluso nulla, in primo luogo lo sport, alla stessa maniera della sorellina Callie. 

Cody con il colonnello Tim Karcher
Dopo l'incontro con Kevin, Cody ha cominciato ad andare nei Veterans Administration Hospital, dove ci sono soldati rimasti paraplegici, non vedenti, amputati. Un giorno era al Brooke Army Medical Center. C'era il colonnello dei Marines Tim Karcher, veterano di Afghanistan e Iraq. Aveva perso le gambe per una bomba vicino a Sadr City: «Cody è stato indimenticabile». C'erano marines di due metri che hanno superato mille volte la morte. Anche lui sa cosa vuol dire essere vicino a morire. «Mi chiamo Cody» e iniziava a ballare e correre. Parla di ciò che vive. Per questo quei soldati gli credono. « Be strong, never give up , siate forti, mai arrendersi». Sa farli sorridere. «I soldati vedono Cody correre e quel suo sorriso è contagioso», spiega Tina. Vuole diventare medico: «Per far stare meglio gli altri e aiutarli a non soffrire».

Fra pochi giorni partirà per l'Italia. Sabato sarà a Roma, in Vaticano, per ricevere il Premio Sciacca. «Conosco l'Italia: al Colosseo c'erano i gladiatori e in Vaticano c'è il Papa». Come la mamma, Cody ha fede: «Credo in Dio e so che mi aiuta a superare i momenti duri». Tina sa quel che Cody ispira: «Sono stupita dell'effetto che ha sugli altri, è così giovane. È una benedizione anche per la mia vita e non vedo l'ora di vedere quel che Dio ha pianificato per lui».

Claudio Arrigoni
Tratto da www.corriere.it

mercoledì 31 ottobre 2012

Invalidità, l'ultima vergogna.


Una recente manifestazione nel Veneto
Di Franco Bomprezzi
Oggi sono di nuovo in piazza Monte Citorio. Le persone con disabilità, le loro associazioni, assieme a tutto il mondo del volontariato e del terzo settore. Una mobilitazione preceduta da tante iniziative dettate dall’angoscia, come lo sciopero della fame di decine di persone in stato di gravità, sospeso solo dopo la promessa di un incontro e di un rifinanziamento del fondo per la non autosufficienza, che peraltro ancora non è sicuro, fino a quando la legge di stabilità non uscirà approvata dai due rami del Parlamento. Un presidio anche a Milano, in una giornata fredda e umida, quando la saggezza e il buon senso consiglierebbero a tante persone la cui salute è sicuramente a rischio un comportamento prudente. Io, ad esempio, appena uscito dalla prima bronchite di stagione, ho dato forfait e mi sento quasi in colpa. Ma cerco di farmi perdonare scrivendo qui, su InVisibili, di una nuova vergogna, forse sventata, che stava per abbattersi su tutte le famiglie nelle quali vive una persona con disabilità certificata nel passato o ancora in attesa di certificazione.
La Commissione Affari Sociali della Camera sta infatti esaminando un testo di fondamentale importanza, del quale l’opinione pubblica, come sempre accade per le questioni più delicate e meno “spettacolari”, è totalmente tenuta all’oscuro. Stiamo parlando delle nuove “tabelle indicative delle percentuali di invalidità per le menomazioni e le malattie invalidanti”. Nuove, ma vecchissime per cultura e concezione politica che le ha prodotte. Un lavoro lungo e oserei dire terrificante, portato avanti con spregiudicata baldanza da chi, ormai da tempo, lavorando in funzione degli interessi dichiarati del Ministero dell’Economia e dell’Inps, braccio operativo di queste operazioni, vuole riformare l’intera modalità di accertamento dell’invalidità civile, non in funzione del diritto alla salute e ai migliori servizi per i cittadini, ma puntando al bersaglio grosso del taglio della spesa sociale, attraverso criteri spesso vessatori, interpretazioni prive di sostegno scientifico, sistematica ignoranza di quanto ha prodotto in questi anni la cultura medica, scientifica e sociale, a livello di Organizzazione Mondiale della Sanità e persino di Onu, attraverso la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, che è legge dello Stato italiano.
Lo scopriamo adesso grazie a una vera e propria incursione della Fish, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, che magari non si dedica a clamorose iniziative finalizzate all’audience dei telegiornali, ma lavora da sempre con competenza e tenacia, marcando da vicino i legislatori di turno, e riuscendo, in questo caso, a essere convocata, con i propri rappresentanti, per una audizione in Commissione Affari Sociali. Sul tavolo dei parlamentari, che immagino attoniti e imbarazzati, in quattordici cartelle fitte di argomenti e di citazioni corrette, la Fish ha smontato il mastodontico lavoro prospettato come grande riforma dal ministro della Salute, di concerto con il ministro del Lavoro e con il ministro dell’Economia. Se andate a consultare il sito della Fish, all’indirizzo www.fishonlus.it, potete accedere direttamente a entrambi i documenti, quello del Governo e lecontrodeduzioni delle associazioni. E’ una lettura difficile ma importante, perché tocca le vite di oltre due milioni e mezzo di italiani, che vivono la disabilità in situazioni diverse, con prospettive di vita differenti, con bisogni e diritti tutti da conquistare, giorno per giorno.
Il risultato di questa audizione la dice lunga: parlamentari di tutti i gruppi della maggioranza (Pd, Pdl e Udc) hanno sostanzialmente convenuto che forse è meglio ripensarci, e addirittura ritirare il testo del decreto. Insomma, buttarlo via e ricominciare da capo. Perché? In pratica il testo utilizza scale di valutazione dell’invalidità basate soprattutto sul concetto di “incapacità lavorativa”, ovviamente basata su un lavoro che non c’è più, quello del secolo scorso. Non solo, i grandi esperti di ben tre ministeri (ma quanto li paghiamo per produrre queste miserie culturali?) riducono la valutazione dei requisiti per la famosa indennità di accompagnamento alle capacità di autonomia nel proprio ambiente domestico! Sostenendo che valutare anche l’autonomia “in esterni” sarebbe troppo complesso e non valutabile. Ma a che cosa sono serviti anni di leggi, di convegni, di cultura dell’inclusione sociale delle persone disabili, persino di lavoro sulla definizione stessa di “disabilità”, che appunto è un concetto in continua evoluzione e si basa sul rapporto tra una menomazione e l’ambiente, le barriere, le fonti di discriminazione?
Se questo è il lavoro dei “tecnici” forse si comprende meglio quanto bisogno ci sia di un ritorno alla politica competente, all’attenzione ai cittadini, alle loro esperienze, alla loro cultura. Se davvero il ministro Balduzzi, come gli verrà chiesto sia dalle forze parlamentari che dalla Fish, ritirerà il decreto, dimostrerà quanto meno una onestà intellettuale e umana che tutti gli riconoscono. Ma sarà anche la conferma che si sono persi tempo e denaro senza affrontare seriamente un problema reale, non puntando solo a far cassa, ma cercando di rendere moderno ed equo un sistema di certificazione vecchio, burocratico, ipertrofico, costoso e di fatto inefficace e ingiusto.

lunedì 29 ottobre 2012

Sesso Amore & Disabilità

Un documentario per sfatare un tabù 

L’affettività delle persone disabili raccontata senza veli in 36 video-interviste che sono diventate un lungometraggio.

MILANO - Oltre 9mila chilometri in giro per l’Italia allo scopo di raccogliere, telecamera alla mano, quello che le persone disabili dicono o non dicono in merito a sesso, amore e affettività. Il risultato sono 36 video-interviste, dalla Lombardia alla Calabria isole comprese, che sono diventate un film-documentario. È «Sesso, amore e disabilità», il progetto ideato e voluto da Adriano Silanus e Priscilla Berardi, rispettivamente regista e psicoterapeuta, realizzato grazie alla collaborazione del Centro documentazione handicap e dell'associazione Biblioteca vivente di Bologna, di Luca Cresta e Claudio Pacini, autori di colonne sonore per il cinema e la televisione che hanno donato le musiche per il lungometraggio, e grazie alla raccolta fondi ancora in corso promossa da Produzioni dal basso. L’anteprima nazionale del video (martedì 30 ottobre alle 18 in Sala Borsa) è stata inserita all'interno del Festival Gender Bender. 
UN TEMA SOTTO SILENZIO – Le storie, i volti e le voci dei 36 protagonisti (tra cui anche alcuni medici, psicologi e genitori) raccontano, senza preconcetti ma con onestà e franchezza, i bisogni sia del corpo sia dello spirito che della mente affrontando argomenti anche «tabù» come l’omosessualità delle persone disabili, il ricorso alla prostituzione, le assistenti sessuali esistenti in alcuni paesi del Nord Europa e i devotee (coloro che prediligono rapporti sessuali con persone in carrozzina o amputate). La vita sessuale e affettiva delle persone con disabilità, infatti, è un tema messo spesso sotto silenzio e su cui si addensano frequentemente veti, imbarazzo, equivoci, ignoranza e pregiudizi. Ecco allora che l’obiettivo del documentario è quello di «dare visibilità, attraverso le testimonianze dirette di esperienze reali e vissuti personali di uomini e donne, a un argomento di cui non si parla molto come il rapporto tra sessualità, relazioni sentimentali e disabilità. Per raggiungere il fine ultimo di contribuire, così, all’affermazione di un diritto individuale che deve essere di tutti», fanno sapere i promotori del progetto. 
TRA SOCIALE E CULTURALE – Dopo le fasi di post produzione e montaggio, «ora il lungometraggio è pronto», spiega il regista. Prevista anche la sottotitolazione «per le persone non udenti e quella in altre quattro lingue per consentirne una diffusione in quasi tutta Europa», continua Adriano Silanus. Per quanto riguarda la distribuzione, invece, «abbiamo pensato a un doppio canale sociale e culturale insieme: da una parte un dvd gratuito per le associazioni, le università, le scuole e i cinema d’essai che ne faranno richiesta e dall’altra la partecipazione a rassegne, festival e concorsi cinematografici», allo scopo di uscire dai dibatti a porte chiuse tra gli addetti ai lavori e cercare di raggiungere, nonché di sensibilizzare, più pubblico possibile. Il progetto – «che non ha scopo di lucro», ci tiene a sottolineare il regista – ha scelto di concentrarsi solo sulle disabilità fisiche e sensoriali, sia congenite sia acquisite, ritenendo che le disabilità intellettive meritino un discorso a parte. Per saperne di più sul film documentario e per vedere il trailer:  http://www.sessoamoredisabilita.it/

Michela Trigari
Tratto da www.corriere.it

domenica 21 ottobre 2012

Bertolucci: nuova voce a favore della disabilità.

«Diventare disabile significa entrare in una condizione nuova e difficile. All’inizio mi sono auto-recluso, poi grazie anche al mio nuovo film, ho scoperto che potevo avere una vita normale». Firmato il premio Oscar Bernardo Bertolucci. Poche parole per raccontare una nuova vita, quella di chi, per malattie o traumi si siede su quella poltrona con le ruote che, più o meno confortevolmente, accompagna la quotidianità di 250 mila italiani. Benvenuto Maestro… benvenuto in un girone infernale fatto di gradini, sguardi incuriositi, diritti calpestati… di ex presidenti di società pubbliche che bucano le gomme.
Nel leggere sul blog di Fiamma Satta Diversamente Aff-abile la sua testimonianza ho pensato: «Caspita, un altro grande che si accorge delle difficoltà di vivere la disabilità nelle città italiane…» (leggi Bertolucci ad Alemanno: «Caro sindaco,lei umilia ogni giorno i disabili»). Eh sì, un’altra freccia nella faretra di chi contro le barriere architettoniche infrange i propri sogni, i propri diritti, la propri voglia di vivere. Come Pino Buongiorno, grande inviato che ha raccontato al settimanale Oggi e su questo blog la sua storia di neo disabile, come Candidò Cannavò che con il suo libro E li chiamano disabili ha aperto una finestra sul mondo della disabilità oppure come Stephen Hawking icona vivente di quanto possa essere grande l’abilità nella disabilità.
Benvenuto Maestro, perché come fa dire a Lorenzo, adolescente difficile del suo nuovo film, «Normale vuol dire niente». Esistono molteplici normalità e lei ce lo ricorda: «Confesso di avere sempre provato affetto e curiosità per tutti coloro che vengono definiti “diversi”: socialmente, culturalmente e sessualmente. Il mio lavoro mi ha portato molto lontano e ogni volta mi sono innamorato delle culture che andavo scoprendo, così diverse dalla mia». Ha mai pensato che potesse esistere una cultura della disabilità? Esiste, è nascente, è frutto della consapevolezza che le persone con disabilità sono prima di tutto Persone.
Lei Maestro lo ha dovuto capire sulla sua pelle, cosa significa diversità. E’ entrato in una nuova condizione, si è autorecluso elaborando l’intimo lutto della sua nuova vita e poi si è riaperto con curiosità al mondo. Ma non tutti ce la fanno. Non tutti trovano la forza e la voglia di rialzarsi moralmente in piedi. Lei ha affrontato a muso duro il sindaco Alemanno accusandolo di «Umiliare i disabili» sfruttando per una giusta causa il tam tam dei media, strumento che migliaia di invisibili non riescono ad avvicinare. Lei Maestro ha gridato dai giornali «Caro Sindaco, Lei chiude la porta in faccia a tutti quei turisti, e non credo siano pochi, che arrivano in sedia a rotelle per visitare il famoso Campidoglio. Forse non se ne rende conto ma Lei ogni giorno, puntualmente, manca di rispetto a chissà quanti disabili…». E non solo turisti.
Pensi e guardi con attenzione a quelle famiglie accampate davanti ai palazzi dei potenti a protestare… alle loro voci rese silenziose dall’indifferenza, dalla voglia di non vedere. Pensi a quelle madri e padri che assistono i figli non autosufficienti e che non sanno a chi affidare il proprio figlio una volta che saranno defunti. Caro Maestro ora lotti con noi per vincere le battaglie più importanti per chi vive una disabilità e non ha la forza per reagire.
Tratto da invisibili.corriere.it 
 

lunedì 8 ottobre 2012

“10 Anni di FIABADAY: dal mondo dei disabili e normodotati ad una Società per tutti!


SCENARIO DI RIFERIMENTO
Dal disabile alla persona….dalla diversità alla normalità….dalla discriminazione alla integrazione… dalle barriere alla Progettazione Universale.... verso la Total Quality, per una Società per tutti!
La “Giornata Nazionale FIABADAY per l’abbattimento delle barriere architettoniche” festeggia quest’anno il decimo anniversario e FIABA la celebra, ripercorrendone le tappe più significative, evidenziando quei valori, concetti, intuizioni, esperienze e presenze che nel corso del tempo hanno dato significato e sostanza alla manifestazione, improntata al cambiamento culturale radicale del modo di concepire la disabilità e l’ambiente di vita.

FIABA:una risposta possibile per una cultura senza barriere!

Il 29 Settembre 2002 comincia la storia di FIABA: un tour in camper lungo un mese che, partendo da Roma, ha toccato i 20 capoluoghi di Regione allo scopo di sensibilizzare i cittadini, le istituzioni, le forze sociali, il mondo produttivo sul problema dell’abbattimento delle barriere architettoniche. Tale iniziativa ha permesso di sottoscrivere Protocolli d’intesa con le Regioni, le Province, i Comuni sede di capoluogo e i Prefetti, dando l’avvio a tavoli d’azione con gli enti firmatari. I risultati del FIABA Tour sono stati poi divulgati nel corso di un Forum organizzato il 22 Gennaio 2003 presso la sede del CNEL.
Dal disabile alla persona…Il messaggio di FIABA si presenta subito innovativo, in linea con quanto già definito nel 2001 dalla classificazione ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per FIABA non esistono gruppi di persone con caratteristiche da catalogare ma esiste “la persona” con tutte le sue qualità e peculiarità e la disabilità non è il problema di una minoranza né l’unico ostacolo che una persona incontra nel corso della propria vita…dalla diversità alla normalità… Tutti siamo diversi e proprio perciò tutti siamo uguali e l’uguaglianza implica, quindi, pari dignità e pari opportunità. La diversità unisce e arricchisce la collettività; sono le differenze che invece separano e creano disuguaglianze. Tutti siamo unici e perciò a tutti, proprio per la unicità che viene rappresentata, deve essere garantito di vivere la propria vita e l’ambiente in cui s’interagisce senza problemi e ostacoli…dalla discriminazione alla integrazione…Per FIABA è fondamentale ripensare, arricchire e sviluppare la relazione tra persona e ambiente, in quanto le caratteristiche qualitative e quantitative di quest’ultimo, hanno un impatto sulla persona e sulla partecipazione alla vita sociale. Senza una piena ed effettiva integrazione ed inclusione all’interno della società, si ledono i diritti umani, il rispetto per la dignità della persona..dalle barriere alla Progettazione Universale…FIABA si propone di abbattere tutte quelle barriere, da quelle architettoniche a quelle culturali, psicologiche e sensoriali, che precludono la possibilità di godere e di vivere l’ambiente in tutte le sue forme e caratteristiche. Per questo promuove la fruibilità universale e la progettazione di ambienti totalmente accessibili secondo i principi della Progettazione Universale, o Universal Design, una filosofia di progettazione che non si limita alla eliminazione delle barriere ma che si pone come obiettivo quello di superare la “discriminazione della progettazione” e di fornire una piena partecipazione sociale a tutti i cittadini. Verso la Total Quality, per una Società per tutti… Negli ultimi anni FIABA sta tracciando un percorso che tocca e si prospetta verso tutti gli ambiti della vita per affermare una nuova visione di welfare che consideri al primo posto la “Total Quality della vita”. La Total Quality è la qualità percepita da una persona; la qualità totale, che se applicata all’intera società permette di arrivare ad una vivibilità ottimale dell’ambiente per tutti. La Total Quality è a 360 gradi. Trasporti, turismo, sanità e scuola: sono i settori strategici su cui è importante intervenire per creare qualità. In ogni settore della vita però si deve ambire alla Total Quality poiché si tratta di diritti sanciti, oltre che dalla nostra Carta Costituzionale, anche dalla Convenzione Onu sui diritti umani e sulle pari opportunità. FIABA ha messo in pratica i principi cardine della Qualità Totale, promuovendo l’istituzione in seno alle amministrazioni regionali, provinciali e comunali di “Cabine di regia per la Total Quality” che hanno la funzione di coordinare le iniziative locali, individuare le criticità presenti sul territorio per garantire il superamento di tutte le barriere e la costruzione del “nuovo” ad accessibilità globale.

venerdì 5 ottobre 2012

Giuseppe Lo Muscio. Un.....diversamente normale

«Nonostante tutto non rinuncio al basket, anche su una sedia a rotelle»



Chiamarsi Giuseppe Lo Muscio. Avere 22 anni, abitare a Caselle Torinese, tifare in modo sfegatato il Toro, passare il tempo su Facebook e giocare in una squadra di basket…nulla di eccezionale, no? Sembrerebbe la fotografia di un adolescente qualunque, se non fosse che per un piccolo particolare: una carrozzina. Due ruote che catapultano immediatamente sotto un’altra etichetta: “disabile”. O “diversamente abile”.
A te piace quest’ultima definizione, Giuseppe?
«Ultimamente si usa di più questa definizione, al posto di “disabile”; ma a me non piace molto, perché nel nome stesso c’è il termine “diverso”, che mi fa sentire separato a prescindere dal resto delle persone. Invece io mi sento uguale, soprattutto a livello interiore: provo dei sentimenti, mi piace lo sport, ho delle passioni…in cosa quindi sarei diverso da qualsiasi altra persona? Certo ho dei limiti fisici che mi impediscono di poter svolgere tutto quello che vorrei, o comunque di poterlo fare da solo. Ma entro i miei limiti, e se possibile anche oltre, io voglio provare tutto!»
Parlaci delle tue passioni: come le vivi?
«Amo lo sport in generale, ma in particolare quello praticato da disabili: aver visto Oscar Pistorius (il campione paralimpico sui 100, 200 e 400 mt piani) gareggiare alle Olimpiadi di Londra nei 400 mt piani, anche se è arrivato ottavo, mi ha emozionato moltissimo; a livello simbolico il suo ingresso in una gara che è sempre stata per normodotati ci ha colpiti tutti, perché significa l’inizio di una nuova era. Per il resto sono un gran tifoso del Toro: a volte mi capita di riuscire ad andare a vederlo in qualche trasferta, ma quando gioca in casa non ne perdo una! Mi reco sempre allo stadio nella tribuna attrezzata per i portatori di handicap: del trasporto e del resto si occupa il Club “Tori Seduti”, al quale sono iscritto (gestito dall’associazione sportiva “SportDiPiù”), che si occupa di incoraggiare e diffondere la pratica sportiva tra le persone con disabilità fisica: non solo il calcio, ma anche l’atletica, l’handbike, il canottaggio, la scherma, il tennis, l’hockey, lo sci nordico, quello alpino e il curling. Io personalmente pratico il basket in carrozzina nella società sportiva UICEP Torino, ma al di là di questo penso che la cosa più importante sia di informare le persone in situazione di handicap che hanno moltissime possibilità per seguire le loro passioni e superare i loro limiti, se solo lo vogliono. E’ uno dei motivi per cui come tesina per la quinta superiore, che ho fatto all’IPSCTS “I.P. Giulio” di Torino, ho deciso di affrontare il tema dello sport nel mondo dei disabili, e la commissione l’ha apprezzato tantissimo. Quello che più mi dispiace, infatti, è vedere pochi disabili in giro per Caselle: io so che ci sono, ma perché restano chiusi in casa? Perché si vergognano? Dovrebbero uscire, confrontarsi coi normodotati e non, al contrario, avere paura di loro! Il confronto con i normodotati li arricchirebbe molto, li aiuterebbe a superare i loro limiti, a dare il massimo, a ricevere anche aiuti e consigli».
Io pensavo che fosse più facile che l’imbarazzo, la paura, se vogliamo chiamarla così, fossero dei normodotati. Tu non credi?
«Ma è normale che i normodotati non s’avvicinino a noi di loro spontanea volontà! Non sanno cosa vuol dire essere disabili, non avendolo mai provato, e quindi non sanno, giustamente, come comportarsi: dobbiamo essere noi disabili ad andare da loro, raccontare la nostra storia e quindi noi stessi, e creare un ponte! Quando ho cominciato la scuola superiore i miei compagni mi stavano lontani; sono stato io ad andare da loro, a dire: “Ciao, sono Giuseppe, ti spiego perché sono in carrozzina e cosa vuol dire viverci”, e da lì è nata la nostra amicizia. Con la scuola abbiamo anche creato un cortometraggio, intitolato “Come un vulcano” (n.d.r.: regia di Federico La Rosa, premiato al Sottodiciotto Film Festival), proprio sul tema della disabilità ma vissuto al contrario: un nostro compagno ha dovuto recitare in carrozzina (la storia narra di un giovane che dopo un incidente si trova a dover ridare un senso alla propria vita), ed è stata un’enorme esperienza per noi in carrozzina spiegargli il nostro mondo, e per lui doverlo vivere per il tempo delle riprese».
Quindi secondo te devono essere i portatori di handicap ad “avere pazienza” e andare incontro alle altre persone?
«Assolutamente si. Tant’è che con la mia famiglia e altre di Caselle abbiamo in passato aperto lo sportello informa handicap, presso l’informagiovani di via Torino 1, e nel corso degli anni abbiamo deciso di dare vita a una cooperativa sociale che ora si è trasformata in associazione, “La Stella Polare” l’obiettivo di “La Stella Polare” è organizzare iniziative che agevolino le informazioni ai disabili e alle loro famiglie, che promuovano lo sport per disabili e che semplifichino e medino l’avvicinamento tra disabili e normodotati. Per questi motivi abbiamo scritto un libro intitolato “Disabile, chi io?! – guida informativa sul mondo della disabilità”: il fine è aiutare persone in situazione di handicap e le loro famiglie a muoversi in modo consapevole nei vari ambiti della vita di un disabile: scuola, sanità, tecnologie, sport e tempo libero, vacanze, trasporti e mobilità…, Ma il libro può servire a qualsiasi altra persona a comprendere meglio il nostro mondo, le nostre esigenze e i nostri bisogni. Inoltre l’associazione organizza un corso di computer a Caselle aperto a chiunque, e diverse iniziative sportive all’interno delle manifestazioni della città di Caselle, come “A ruota libera”, che nel 2013 sarà alla sua decima edizione».
Ti sei mai sentito scoraggiato, hai mai pensato “No, è troppo difficile, non ce la faccio, getto la spugna”?
«No. Mai. Forse in ciò sono davvero un “diverso”, ma in questo caso ne vado fiero».
Tratto da
 

Notiziario on line di Ciriacese, Canavese, 
Valli di Lanzo e cintura Nord di Torino
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martedì 2 ottobre 2012

Caro Saviano, sei diversamente bravo.

Caro Saviano,

(http://invisibili.corriere.it/2012/10/02/caro-saviano-sei-diversamente-bravo/)
 Sei proprio “diversamente bravo”. Come dici? Perché “diversamente”? Beh, se io sono “diversamente abile” tu sei “diversamente bravo”, così ce la giochiamo alla pari. Non ti piace? Ci credo. Perché o uno è bravo o non lo è. Come per me: o sei abile o non lo sei. Io, modestamente, preferisco essere chiamato per nome. Mi chiamo Franco, ho 60 anni, ho gli esiti della stessa patologia di Michel Petrucciani, ma “diversamente” da lui non suono il pianoforte. Le mani sono lunghe e forti, e le uso per picchiare sui tasti del computer, e anche per fare altre cose, sulle quali non mi dilungo.

Ma se proprio mi devi chiamare, per favore, preferisco di gran lunga “persona con disabilità”. Qui lo abbiamo scritto e ripetuto, spiegando il perché. Ma evidentemente siamo ancora “Invisibili” per i “diversamente bravi”. Allora con pazienza ecco qualche piccola osservazione, se non ti offendi. “Persone” con “disabilità”, perché la disabilità dipende non solo dagli esiti di una malattia, di un incidente, di una situazione congenita, ma dal contesto sociale e ambientale nel quale si è inseriti. Se continuiamo a pensare che la disabilità sia qualcosa di “diverso”, addirittura una grande opportunità per sviluppare “diverse abilità”, facciamo un grave torto a quei milioni di persone nel mondo che ogni giorno si battono solo per vedere rispettati i propri diritti di cittadinanza alla pari degli altri, anche se non sono bravi come Petrucciani, per dire.

L’Onu infatti scrive proprio la Convenzione sui diritti delle “persone con disabilità”. Questione di parole? No, di sostanza. Dietro le parole ci sono le idee, i pregiudizi, gli schemi mentali. Compresi i tuoi, di “diversamente bravo”. Mi occupo anche io di comunicazione da tanto tempo, e ho analizzato con “diversa modestia” il tuo lavoro di ieri sera. Hai scelto un tema di grande presa, ma anche molto trascurato dai media. Bravo. Lo hai fatto con passione e sincero spirito costruttivo. Bravissimo. Hai raccontato la storia di Michel Petrucciani che farebbe commuovere anche Fiorito appena entrato in carcere. Applausi, standing ovation.

Ma lo hai fatto dall’alto. Dall’altra parte del mondo. Nel tuo tono, perdonami, c’è quasi un atteggiamento predicatorio. Ci hai “sdoganati” in prima serata, e te ne siamo grati (insomma, così così). Ma le tue corrette e opportune notazioni sui tagli ai bilanci pubblici e ai servizi, l’apprezzamento giustissimo per i campioni delle Paralimpiadi, la valorizzazione di un fenomeno come Petrucciani, sono tutti elementi splendidi cuciti però con il filo della retorica e del sentimento.

So già che i tuoi appassionati sostenitori insorgeranno, ma io parlo a te, e vorrei sinceramente che tu cogliessi queste mie riflessioni, da giornalista a rotelle, per approfondire di più, per scavare dietro le notizie, per non cadere nella trappola delle parole. Pensa che “diversamente abili” è proprio l’espressione preferita da quei politici che tu ami criticare. A loro infatti suona benissimo, perché gli consente di far bella figura (proprio come te ieri sera da Fazio) senza bisogno di andare al cuore dei problemi e dei diritti delle “persone” che possono anche essere del tutto “non abili”. Ma non per questo hanno meno diritto di cittadinanza, meno dignità.

Caro Saviano, benvenuto tra noi. Ma se mi posso permettere una piccola osservazione finale: parla un po’ “diversamente”. Magari sei più efficace.

Con simpatia,
Franco
 Di Franco Bomprezzi
Tratto da invisibili.corriere.it
 Concordiamo perfettamente con l'autore di questo articolo. Da tanto tempo ripetiamo, e non ci stancheremo mai di farlo, che non esistono handicappati , soggetti deboli, soggetti svantaggiati, diversamente abili, ma solo ed esclusivamente PERSONE CON DISABILITA'.

giovedì 27 settembre 2012

Mendicanti: esposti, sfruttati e ignorati

Era da tempo che cresceva dentro di me il desiderio di scriverne. Ma non trovavo la forza, e neppure le parole. Solo le immagini, nitide e dolorose, dentro i miei occhi, quasi ogni giorno. Oggi ne parlo, perché ho un buon motivo, almeno una notizia positiva che viene da Torino, dove la polizia municipale ha fermato una intera famiglia di sfruttatori di mendicanti invalidi, costretti a esporre le proprie membra deformi in cambio di elemosina, il cui ricavato naturalmente veniva loro interamente sottratto. Analoga operazione oggi a Milano, con grande spiegamento di forze della polizia municipale, e conferenza stampa dell’assessore Granelli e del comandante dei vigili Mastrangelo, proprio mentre usciva nel blog il mio pezzo. Finalmente è un segnale forte, anche se solo di carattere poliziesco, rispetto a un fenomeno odioso e complesso, sul quale vorrei riflettere con voi, lettori di “Invisibili”. La foto che campeggia sopra il titolo ci riguarda, infatti. E’ un uomo, coperto di stracci, dai quali spunta un moncone di braccio, accovacciato sul marciapiede, mentre verso di lui avanzano passanti indaffarati e ben vestiti. Non sappiamo se lo degneranno di uno sguardo. Forse no. Ma se lo faranno sarà per un istante, giusto il tempo del ribrezzo. In un angolo della mente un pensiero, forse: “Che schifo. Guarda come è ridotto. Non gli do neppure un centesimo, tanto è sfruttato dai soliti impuniti”. E poi via, passando oltre in fretta.
Oppure in automobile, agli incroci. Quando un mendicante zoppo, sciancato, a volte addirittura con le gambe spezzate e rovesciate in un angolo innaturale (chi non li ha visti?), si avvicina al finestrino e implora una moneta. Speriamo che venga subito il verde, lo ignoriamo, ci dà fastidio, forse vorremmo che qualcuno intervenisse per toglierlo dalla nostra vista. Ma intanto quella deformità, quella disabilità esposta in modo violento e trucido ci assale, entra nella mente e scava.
Invalido e mendicante. Mendicante perché invalido. Una equazione mentale subdola, triste, squallida, ma che fa presa sull’inconscio e riduce la distanza fra questa aberrazione che nasce dalla miseria e dalla turpitudine morale degli sfruttatori, e l’altro mondo della disabilità, quello delle persone come me, come tutti coloro, e sono tanti, che con le deformità del corpo, o con i deficit dei sensi, o della mente, convivono da sempre, inseriti, più o meno bene, in questa società.
Ho incrociato spesso, nel centro di Milano, a pochi metri dal Duomo, mendicanti abbarbicati a una sgangherata sedia a rotelle. Rottami umani su rottami materiali. Ho notato che mi guardavano con curiosità. Forse si chiedevano come facessi io a vivere bene, dignitosamente, pur avendo un handicap simile al loro. Ma neppure io sono riuscito a superare il diaframma che separa i nostri mondi. Ho sentito crescere dentro di me rabbia e tristezza, ma non ho fatto nulla di concreto per impedire che questa esposizione indecente delle membra continuasse. Né come giornalista, né come cittadino.
Chi sfrutta il corpo mutilato (spesso maltrattato apposta, con persone ridotte in vera schiavitù) agisce proprio nella consapevolezza di potersi muovere in questa terra di nessuno, ai confini della realtà. Il danno per queste persone è evidente e irreparabile, anche dopo l’arresto degli sfruttatori. Ma il danno complessivo all’immagine sociale della disabilità è altrettanto disastroso. Si avalla l’idea, inconscia, che una persona invalida debba e possa mendicare per vivere. Debba e possa esporre il proprio corpo deforme o mutilato per ottenere una mercede. E’ una metafora pericolosa e orrenda di quanto, in modo più sottile, avviene quasi ogni giorno, ad altri livelli, in altre questue sociali.
La verità è che di questi mendicanti, al massimo, si occupa la polizia. E invece, in quanto persone con disabilità, dovrebbero essere tolte dal marciapiede, assistite, curate, riabilitate, e rimesse in condizione di vivere dignitosamente, qui nel nostro Paese o affidate ai centri di riabilitazione e di cura dei paesi di origine, seguendo le regole dell’Onu, ma anche le nostre umane regole di convivenza civile. I loro nomi non li conosceremo mai. I loro volti resteranno sempre impressi nella nostra memoria. La tratta degli invalidi è un’offesa a tutte le persone con disabilità. Non lasciamo la loro sorte in mano soltanto ai vigili urbani.
Tratto da www.corriere.it\invisibili

martedì 18 settembre 2012

Non "tagliate" il mio educatore


Tratto da www.corriere.it

LA LETTERA DI FRANCESCO, 17 ANNI, DISABILE

Non «tagliate» il mio educatore

«A scuola senza di lui sarò di nuovo quello che ero: un ragazzo che non può far niente e che nessuno ascolta»

La denuncia era arrivata nei giorni scorsi dai presidi delle scuole milanesi: tagliata l'assistenza ai disabili, ridotte le ore degli educatori fino al sessanta per cento. Francesco, studente con disabilità di diciassette anni dell'Istituto tecnico Albe Steiner ha scritto al Corriere dopo aver saputo che il suo educatore non riavrà lo stesso incarico. Il Comune intanto ha spiegato: «Il budget non è stato tagliato ma il servizio è stato riorganizzato e i costi sono saliti. Recupereremo altre risorse».
Caro direttore, sono un ragazzo con disabilità, ho 17 anni e so che lottare è la regola numero uno, se vuoi sopravvivere. Per questo vi scrivo. L'anno scorso i miei genitori sono ricorsi in tribunale contro il ministero dell'Istruzione e, vincendo la causa, hanno ottenuto il ripristino delle ore di sostegno cui avevo diritto. Ma... la tregua è stata breve. Quest'anno, quando è iniziata la scuola, ero in ospedale. Però le notizie mi hanno raggiunto ugualmente. Tutti i ragazzi con disabilità di Milano si sono ritrovati con la metà delle ore di educatore stanziate l'anno scorso. E il «mio» educatore, Michele, un educatore che per me era diventato un fratello maggiore, un ragazzo che mi ha sempre difeso, che sapeva prendere in giro me e i miei compagni facendomi parlare con loro, non verrà più a scuola.

Lui, che considerava un «privilegio» poter lavorare con me (così mi diceva!), proprio lui, quest'anno è rimasto senza lavoro. E nessuno si è preoccupato di spiegargli perché. So che martedì (oggi, ndr) il sindaco parlerà con i rappresentanti di chi ha delle disabilità e si cercherà un accordo. Ma non sono tranquillo. Anzi, sono quasi certo che la conclusione sarà sempre la solita: si parlerà di «emergenza», invece di dirmi «ingiustizia». Ho parlato con Michele che ha cercato di rassicurarmi: «Non te preoccupe, Fra'... che ce ne frega...? Noi restiamo amici. Le leggi non c'entrano con noi». Ho parlato con la mamma che mi ha detto, come se fosse tutto normale: «Non preoccuparti, è un periodo difficile, ma tutto si sistemerà...». Ho letto sul giornale che il Comune risponde dicendo: «Non preoccupatevi, i fondi stanziati sono sempre quelli...». E allora...??? Perché mi preoccupo...?????? Ecco perché mi preoccupo: perché a scuola ci vado io, non loro; e a scuola, senza Michele, tornerò ad essere quello che sono senza di lui: un ragazzo che non può fare niente da solo e che nessuno ascolta. Ma io, ancora, non voglio stare zitto. Perché ancora nessuno è riuscito a togliermi il diritto ad essere arrabbiato!
Francesco Gallone
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L'educatore, l'amico...il fratello maggiore


di Simone Fanti

Francesco Gallone, 17 anni, studente all’Istituto tecnico Albe Steiner(avrete già letto la sua lettera accorata pubblicata dal Corriere della Sera in prima pagina) è un ragazzo con disabilità che come tanti suoi coetanei si appresta a tornare tra i banchi di scuola. Francesco è un ragazzo che, nonostante la disabilità, vuole vivere la sua vita alla pari, vuole integrarsi nella società. Francesco è una delle vittime dei tagli all’assistenza dei disabili: al suo ritorno a scuola non troverà più il suo educatore, Michele, che per tanti mesi l’ha aiutato a vivere con maggiore serenità la sua formazione e crescita (a tutto tondo, non solo quella scolastica). Una scelta dettata, secondo gli amministratori pubblici, dall’emergenza e dai necessari tagli alla spesa scolastica che diventa, parole di Francesco, un’«ingiustizia». Difficile capire il profondo senso di questa parola se non si vive la disabilità. L’educatore per molti è semplicemente l’assistente di sostegno nel percorso scolastico, per molti altri è l’amico – troppo spesso l’unico -, o «un fratello maggiore, un ragazzo che mi ha sempre difeso, che sapeva prendere in giro me e i miei compagni facendomi parlare con loro», scrive Francesco.
Non so se vi sia mai capitato nella vita, e mi auguro per voi che non sia mai successo, di non potervi muovere, di essere impediti da un piccolo o grande problema, di aver avuto bisogno di una mano amica per vivere. A me sì. Dopo l’incidente motociclistico, nell’immobilità della mia condizione, ho dovuto chiedere l’aiuto di chi mi circondava anche per le più banali impellenze. Dopo i primi momenti in cui tutti ti sono accanto l’attenzione scema e rimani solo, gli amici ti vengono a far visita sempre più di rado, l’amore non sempre riesce a colmare il gap che l’handicap ha creato con la vita e spesso si spegne e si allontana… resti solo. Solo con i tuoi pensieri, le tue paure, i tuoi interrogativi. Ad accompagnarti in questi primi passi ci sono solo i tuoi familiari che spesso devono essere a loro volta aiutati a superare un trauma troppo grande per loro.
Ti senti fragile, indifeso, ti senti perso e senza punti di riferimento. Ripensando a quello che ho vissuto rileggo la lettera di Gallone e ne colgo le sfumature le paure. Chi è quindi Michele per Francesco? Non certo solo quella persona, indispensabile, che lo aiutava ad andare in bagno o negli spostamenti. Michele, l’assistente-educatore, non era solo il braccio, era l’amico che spesso non si ha – perché la società, specie in giovane età rifugge dalla disabilità-, era il fratello maggiore che difende e protegge. Era il mediatore che con un sorriso avvicinava la persona con disabilità al mondo dei compagni. Era la persona di fiducia a cui la famiglia affidava il figlio per il tempo necessario a ricaricare le batterie.
L’educatore Michele era il simbolo concreto dell’inclusione. Parola abusata in mille contesti che qui assume un valore concreto, fisico… come si fa a parlare di integrazione se non se ne capisce il reale valore? Francesco il tuo grido «Tornerò solo» è stato raccolto dal Web che gli farà da eco fino a quando il valore delle persone non prevarrà sul valore del denaro. Noi invisibili facciamo nostro il tuo grido, caro Francesco. E lo rilanciamo perché chi ha reale bisogno non sia mai lasciato solo.
Tratto da www.corriere.it\Invisibili

mercoledì 12 settembre 2012

I “gravissimi”: che noia!

«L’insistenza a ripresentare periodicamente il problema dei cosiddetti “gravissimi” – scrive Giorgio Genta – ovvero quelle persone con disabilità complesse che richiedono supporti assistenziali di particolare qualità, intensità e durata, – è generata dall’assoluta mancanza di risposte pratiche alle loro esigenze. E a quelle delle loro famiglie» Quello tra la perseveranza e la cocciuta testardaggine è un confine sottile, molto sottile, che viene percepito in maniera diversa a seconda della più o meno positiva predisposizione all’ascoltare (o al vedere) di chi lo valuta. E l’insistenza di chi scrive a ripresentare periodicamente il problema dei cosiddetti “gravissimi” – ovvero di quelle persone con disabilità complesse che richiedono supporti assistenziali di particolare qualità, intensità e durata – è generata dall’assoluta mancanza di risposte pratiche alle loro esigenze. E a quelle delle loro famiglie. Risposte pratiche che vadano al di la del servizio televisivo bello ed episodico, andato in onda alle 23.35, dell’articolo di mezza pagina sul quotidiano prestigioso (magari a firma di chi vanta vaste esperienze professionali di gastronomia e filosofia zen…), del discorsetto da “autunno freddo” e “campagna elettorale calda” del politico che non ha avuto il coraggio – e la convenienza, dicono i maligni – di resistere alle pressioni delle più svariate lobby professionali nel finalizzare i quattro spiccioli che restano (o che restavano? Forse ora non ce ne sono davvero più!) in fondo al “borsellino governativo” nazionale o locale. Oppure, se è stato virtuosamente resistente, ha “girato” alle famiglie solo qualche decina di euro al mese, con mille steccati burocratici e livelli reddituali interposti.
Viene talvolta il sospetto che esistano ancora persone che vedono la disabilità, specialmente quella assai grave, come un “atto di Dio” al quale Dio solo può, volendo, porre rimedio, anche in termini economici e assistenziali e mascherano questa angusta visione da carità pelosa confessionale (anche laicamente confessionale), dietro tecnicismi ed equilibrismi verbali. Altre considerano invece la disabilità come una nuova frontiera della finanza creativa, ovvero come l’occasione di arricchirsi a danno e dolore di chi dalla vita ha avuto assai poco, strappandogli quel poco. E non si tratta della vita stessa ma – peggio se possibile – della dignità e della speranza. Altre ancora inventano slogan fantasiosi, tipo «se tutti pagano le tasse, i servizi ripagano tutti», ma in realtà le tasse aumentano costantemente, mentre la qualità, l’intensità e l’appropriatezza dei servizi decrescono. Soprattutto per le persone con disabilità gravissima. Cosa comporti davvero, in termini “umani”, la disabilità gravissima in famiglia è cosa ignota ai più. Anche a molte persone con disabilità che definirei “più lieve”, se avessi il coraggio di scriverlo. Questi “amici o amiche con disabilità” ritengono, del tutto onestamente in cuor loro, che non esista una scala “di peggiorità”, che si sia tutti uguali di fronte alla disabilità, che il problema eventualmente sia solo quello della necessità di un maggior supporto. Pochissimi pensano al lavoro e alla fatica esistenziale della famiglia con disabilità gravissima, che durano magari da 25-30-40 anni. Cinquantamila ore di sonno perse (5 ore per notte per 365 notti, per, diciamo, una trentina d’anni), un milione di euro non guadagnati, una decina di patologie muscolari, ossee e intellettivo-relazionali a carico del caregiver familiare primario e della famiglia tutta. Al confronto, essere passati nel tritacarne equivale a una “grattatina” ed  essere arsi sulla graticola come San Lorenzo è una piacevole abbronzatura. Ecco perché sarò noiosamente ripetitivo, schivato da amici e conoscenti e ripetutamente monotematico: i “gravissimi” e le loro famiglie soprattutto, prima di tutto, sempre.

Tratto da superando.it