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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

sabato 25 febbraio 2012

DISABILI A TEMPO INDETERMINATO

Sta succedendo. Giorno dopo giorno. Crescono l’ansia, la rabbia, la preoccupazione, l’incertezza. La disabilità non è solo una situazione umana che tocca chi la vive sulla propria pelle. Molto spesso la disabilità si trasferisce su altre persone. Per primi i genitori. La mamma. il papà. E poi i fratelli, le sorelle. E’ inevitabile. E’ così che succede da sempre, soprattutto quando la persona con disabilità non è in grado di rappresentarsi da sola, di parlare, di comunicare nel modo ordinario che noi tutti attribuiamo a questo termine.
E allora succede che l’handicap si trasferisce sui familiari. Avviene da un punto di vista legale, il che è assolutamente logico. Ma accade anche dal punto di vista della comunicazione emotiva. Specialmente in tempi difficili come questi. Quando cioè, per effetto della crisi del welfare, cadono le certezze, aumentano le insicurezze rispetto ai diritti conquistati in anni di leggi e di leggine, di certificati e di diagnosi, di percentuali e di servizi messi in fila uno dopo l’altro per ridare un senso dignitoso alla vita.
Leggo in questi giorni di una iniziativa molto forte e dolorosa, messa in atto da un gruppo di genitori su iniziativa di una mamma torinese, molto determinata e tenace, Marina Cometto (fondatrice dell’associazione Claudia Bottigelli, il nome della figlia, colpita da sindrome di Rett). Hanno deciso di restituire la tessera elettorale al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accompagnando il gesto con una lettera dai toni forti e amari, diffusa in questi giorni grazie al tam tam dei social network, in particolare facebook. Eccone un passaggio: “La goccia che però ha fatto traboccare il vaso è stata l’ultima notizia  che ho letto riguardo ai TICKET  che si vogliono imporre anche  sulle forniture di pannoloni, ossigeno, alimenti per celiaci, ausili per diabetici , lancette, strisce e macchinette perla rilevazione quotidiana della glicemia , molti di questi sono salvavita  e la vita non si può salvaguardare  a seconda del reddito , non in un Paese civile”.
Notizie non confermate da provvedimenti, solo ipotesi di lavoro, ma tanto basta a mettere in uno stato crescente di ansia un popolo di genitori che soprattutto negli ultimi anni sono stati costretti a ridiscutere, a causa dei controlli a tappeto sulle pensioni di invalidità, originati dalla campagna sui cosiddetti “falsi invalidi”, anche certificazioni relative a situazioni di assoluta gravità, non migliorabili a meno di un miracolo.
E poi i tagli ai trasferimenti agli enti locali, la contrazione dei servizi socioassistenziali, la mancanza di punti di riferimento certi. Tutto sta portando le famiglie verso una esasperazione che è comprensibile, anche se in verità il recente incontro del ministro Fornero con le rappresentanze di Fish e Fand, i coordinamenti delle più importanti associazioni italiane, è stato tutt’altro che negativo.
Il rischio dell’antipolitica contagia dunque anche il mondo normalmente molto pacato e dignitoso dei familiari di persone disabili in situazione di gravità. La coesione sociale, di cui tanto si parla, è ai limiti di rottura. E qui non c’è nessuna monotonia da superare, visto che la disabilità, in questo caso, è davvero a tempo indeterminato.
Tratto da 
http://invisibili.corriere.it/

sabato 18 febbraio 2012

SIMONA ATZORI A SANREMO

CAMMINANDO O VOLANDO COME UNA FARFALLA.
TORINO 2006 - LAZZARO (RC) 2010 - SANREMO 2012

SIAMO TESTARDI
Nonostante le tante difficoltà...andiamo avanti. (InHoltre)


Simona che sublima la realtà, la danza a Sanremo e quel giorno che la Rai tagliò la sua arte. Con un pensiero a Candido

SANREMO: QUARTA SERATA

“Tutto comincia da un sogno”. E da quella telefonata, un giorno, di Eleonora: “Ti aspettano in Francia per provare, si danza su un vero palcoscenico”. A Eleonora, ballerina e amica, Simona aveva confidato quel sogno: “Danzare su un vero palcoscenico”.
Chissà se ha pensato al sogno, quando era lì, sul palco di Sanremo, a danzare sulle – bellissime – coreografie di un maestro come Daniel Ezralow, con musiche che ogni generazione fa sue come quelle dei Nirvana, se poi il violino lo suona David Garret diventa incantesimo: lei, nata senza braccia, ad aprire il festival danzando.
“Cosa ti manca per essere felice?”: la domanda è il titolo del libro scritto da Simona Atzori. Chi si è accorto, in quella danza che le mancava una parte del corpo? Chi non ha visto le braccia e invece ha ammirato quei movimenti, quel corpo, quel talento e quella armonia?
Simona Atzori Sanremo 2012
L’unicità di Simona è quello che è: nascondere che non ha le braccia è sbagliato. Ci pensa la danza. A far capire che la diversità è in tutti. Simona è fantastica per quello. Oscar Pistorius non è il migliore, è fra i primi 15 sprinter del mondo sui 400 metri. Chi si ricorda anche uno solo degli altri 14? Oscar è conosciuto nel mondo perché fa quello che fa in maniera straordinaria senza gambe. Questa è la sua grandezza. Senza vergogne. Questa è la grandezza di Simona. Non nascondere la realtà. Sublimarla.
Vederla e pensare a Candido che, lassù, era commosso, al “…le sue braccia sono rimaste in Cielo, ma nessuno ha fatto tragedie…” scritto come sa fare lui, alla passione per Simona, a quella copertina di “E li chiamano disabili” voluta dalla moglie, Franca, ballerina splendida, che ben sa come la danza non fa differenze, esalta ciò che c’è e ciò che manca.
La danza di Simona all’Ariston ha mostrato che qualcosa sta cambiando. Grazie a lei e a quelli, testardi e pieni di talento, come lei. Morandi non ha raccontato la sua storia, ha detto il suo nome. Un ricordo personale per spiegare meglio. Era il 2006, Simona è la protagonista della Cerimonia di apertura della Paralimpiade di Torino, una delle più belle della storia dei Giochi, trasmessa in mondovisione, per la prima volta nella storia paralimpica in tutti i continenti, centinaia di milioni di persone a vederla. Per averla in diretta sulla Rai fu necessario un compromesso. Ero nel Comitato organizzatore della Paralimpiade, al quinto piano di viale Mazzini ci (oltre a me, fra gli altri, c’erano Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico, e Tiziana Nasi, presidente di Com.Par.To.) ricevettero l’allora Presidente della Rai e un dirigente tuttora in auge. “Se la fate in prima serata non la mandiamo in diretta”: questo disse quel dirigente. Non volle sapere nulla di quello spettacolo fantastico, non volle sapere di Ligabue (qualche settimana prima lo avevano inutilmente implorato di andare a Sanremo) e Zanardi, di Messner e di quella freccia di Paola Fantato (prima al mondo a partecipare nello stesso anno a Olimpiade e Paralimpiade, un vanto mondiale dello sport) che abbatteva le barriere. Niente. Si parlava di Giochi per disabili, la prima serata non andava bene. Ripeteva solo: “O partite alle 18 o niente diretta”. Un incompetente ( che naturalmente ora è salito di grado). Anche perché, fra le 18 e le 20, la Cerimonia coinvolse oltre 2 milione di spettatori. Figurarsi fosse stata in prime time. Cedemmo, fu spostato l’orario: caso più unico che raro in una cerimonia olimpica e paralimpica, si cominciò nel tardo pomeriggio in un evento nato per il buio e i giochi di luce. Inizio non promettente.
Finalmente, ecco Simona. Mancano pochi minuti ai fuochi d’artificio conclusivi. In tribuna c’era il Presidente Ciampi con la moglie. Diretta su Rai2, sto commentando insieme a Lorenzo Roata, colonna dello sport paralimpico in Rai. Sono le 20.15, mancano pochi minuti alla conclusione, è il momento più emozionante: Simona sta ballando un tango magnifico. In cuffia, ci comunicano: “Due minuti e chiudere”. Chiudere?!? Chiudere?!? Ma sta danzando Simona Atzori, come chiudere?!? Tentiamo di farlo capire. Niente: “Un minuto, 30 secondi…”. E Simona danzava. “Chiudere, 10, 9. 8…”. Un tango indimenticabile. “3, 2, 1…”. La gente era estasiata, Simona si muoveva come sa fare lei, come ha fatto davanti a Giovanni Paolo II al Giubileo 2000, come farà a Sanremo 2012. Ma quel funzionario, sconosciuto e probabilmente nemmeno redarguito, non se ne accorse. “Ok, siete fuori…”. Ci venne da piangere. Guardammo lo schermo: stavano andando in onda i cartoni animati di Tom&Jerry, mentre si attendeva il Tg della sera…
www.corriere.it






giovedì 9 febbraio 2012

"DIO MI HA DISEGNATO SENZA BRACCIA. E IO BALLO PER LUI"

La guardi parlare, sprofondata tra i cuscini del divano, e tuo malgrado ti trovi a fissare le sue braccia (o sono gambe?), il gesticolare delle mani affusolate (o sono i piedi?), l’agile movimento delle dita mentre sfoglia le pagine del suo libro e trova la pagina che cercava: “Ecco qui. Il punto in cui racconto che il 18 giugno del 1974 vengo al mondo e i miei si tengono per mano mentre decidono non di ‘accettarmi’ ma di accogliermi con gioia infinita: sapersi amati fa assolutamente la differenza”. Simona Atzori ha ormai calcato i palcoscenici del mondo, è volata sulle punte con l’étoile della Scala al “Roberto Bolle and Friends”, è stata Ambasciatrice della Danza del Giubileo del 2000, ha aperto le Paraolimpiadi Invernali del 2006 e oggi porta in giro per l’Italia “Me”, il primo spettacolo realizzato interamente da lei, insieme alla sua Compagnia “Simonarte Dance Company” e ai ballerini della Scala di Milano. Ma per molti resta prima di tutto ‘la danzatrice senza braccia’. “Sono rimasta in cielo”, annuisce serena. Intorno a lei, ballerina e pittrice, i grandi quadri accatastati al suolo, pronti a partire per la prossima mostra. Parla rilassata, a ‘braccia’ conserte, le ‘mani’ sul grembo, poi le scioglie e le poggia a terra, dove diventano magicamente i suoi piedi. Di nuovo solleva un piede, lo porta alla testa e con eleganza sinuosa si riavvia i lunghi capelli ricci.
Simona sono più le tue braccia o le tue gambe? Come le senti? Domanda interessante (ride), non ci avevo mai pensato. Credo che per la maggior parte del tempo siano braccia. Sono vissuta qualche anno in Canada, dove mi sono laureata, e lì mi dicevano che ero proprio un’italiana da quanto gesticolavo. La sintesi perfetta avviene quando guido, un piede sul freno e acceleratore, l’altra ‘mano’ sul volante.
Come reagirono i tuoi genitori, Tonino e Vitalino, alla tua nascita? Allora non c’era l’ecografia, fui una bella sorpresa, non c’è che dire. I primi due parti per mia mamma erano andati male, per questo mia sorella, la sua terza gravidanza, è stata chiamata Gioia. Poi sono arrivata io e mia madre aveva il terrore di perdere anche me. Quando si è svegliata dal cesareo e ha visto i volti cupi degli infermieri, che non le lasciavano vedere la sua bambina, è stata malissimo. Poi invece ha saputo che ero sana e salva, soltanto mi mancavano le braccia. Mamma e papà si sono abbracciati e hanno subito deciso il da farsi: mi avrebbero insegnato a prendere il ciuccio con i piedini. Già prima che io nascessi, mia madre sognava per me che io diventassi ballerina, mi aveva dentro e già mi immaginava di vedermi volare sul palcoscenico: il suo primo pensiero è stata la chiave della nostra vita, la sua positività ha dato a tutti noi il segreto della felicità.
L’essere ballerina, e quindi snodata, ti ha aiutato a vivere? La danza mi ha aiutata dal punto di vista fisico, è vero. Ma non l’ho scelta io, è lei che ha scelto me, così come la pittura, ed entrambe le arti mi permettono di esprimere tutto il mondo interiore.
Ora però con “Cosa ti manca per essere felice?” sei anche scrittrice. Il titolo del libro è la domanda che faccio sempre agli altri. A me non è mancato nulla, nella mia vita non ho avuto scuse né alibi. Allora alle persone vorrei dire di non arrendersi alle prime apparenti difficoltà, di non scoraggiarsi mai perché, anche se ti manca qualcosa, puoi comunque essere felice. Di fronte alla foto di copertina, spesso la gente non si accorge che non ci sono le braccia e questo significa una cosa importante: nella vita bisogna guardare quello che  c’è, non lamentarsi per ciò che non abbiamo. Qualcosa, tanto, manca a tutti, anche a chi ha braccia e gambe in regola: l’esteriorità si nota prima, ma se il vuoto è interiore  il dolore è più straziante, più limitante di due arti rimasti in cielo.
Qual è il tuo messaggio? La vita è un dono straordinario e non va sprecata. Io tengo incontri motivazionali in aziende, banche e scuole e sempre cito Papa Giovanni Paolo II: “Prendete la vita nelle vostre mani e fatene un capolavoro”. E’ una verità assolutamente concreta: quando hai un dono sei felice, prima di tutto, e poi vuoi donarlo, farlo più bello, e questo cerco di fare anch’io. Quando narro la mia storia sembra che racconti una favola, e in effetti è la “mia” favola, è proprio uno spettacolo di vita. Ognuno di noi può fare questo, basta crederci, purchè non a metà, crederci veramente. Non è facile, ma nulla è facile nella vita.
Qual è il tuo rapporto con il Creatore? Ringrazio il Signore non per la vita in generale, ma per avermi disegnata esattamente così. Il mio grazie quotidiano è cercare di rendere questa mia vita un capolavoro, come lui ha voluto che fosse.
Hai anche l’amore. Come lo hai riconosciuto in Andrea, il tuo fidanzato, istruttore di volo? L’amore è soprattutto l’uomo che gioisce dei suoi successi e li condivide. Due strade parallele ma una crescita insieme.
Perché non viene da dire che sei una disabile? Perché ti si conosce e si pensa “che fortuna ha avuto a nascere così”? Perché è vero, Che cosa significa disabile? Chi lo è e chi no? E colui che è sano, fino a quando lo sarà? Non è questo che conta, non certo due braccia o due occhi, e spesso proprio nella caduta si scopre il senso della vita, come testimoniava Ambrogio Fogar e come racconta Mario Melazzini, il medico malato di Sla. Per molti questo è incomprensibile, perché guardano l’avere e il fare anziché l’essere.
Potessi chiedere al Signore le tue braccia, lo faresti? In Kenya ho danzato per carcerati, malati di Aids e bambini di strada e mi hanno fatto la stessa domanda. Ti rispondo come a loro: se fossi nata con le braccia, tu ora non staresti parlando con me, ma con un’altra persona. E io amo Simona.
di Lucia Bellaspiga – Avvenire
Tratto da TOTTUS IN PARI 

mercoledì 1 febbraio 2012

DISABILITA' E VOLONTARIATO RELAZIONE DI GIAMPIERO GRIFFO CONVENZIONE ONU

Per tutti coloro che non hanno avuto la possibilità di poter ascoltare la splendida spiegazione di Giampiero Griffo, sulla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, possono leggerla di seguito.  

"Io rappresento un’associazione la Disabled People’s International, sono membro del comitato esecutivo mondiale, che ha avuto un ruolo fondamentale, un ruolo che rappresenta probabilmente la più straordinaria trasformazione culturale legata alle persone con disabilità. La Convenzione è diventata legge dello Stato nel 2009, il che significa che non è più una carta internazionale ma che è un atto, da rispettare. Una legge dello Stato, una legge che è già operativa e vedremo come è operativa all’interno dei processi di cambiamento che già stanno intervenendo all’interno dello Stato Italiano. La mia è una organizzazione cross disability, nel senso che organizza tutti i tipi di disabilità indipendentemente dalle cause, nella nostra organizzazione ci sono ciechi, sordi, persone con disabilità fisica, persone con disabilità intellettiva e così via, perché siamo convinti che la disabilità non è una condizione di salute ma è invece una condizione di vita che dipende molto dalla società. Nel mondo vivono 650 milioni di persone con disabilità e di questi 650.000.000 probabilmente beneficeranno progressivamente, di questo nuovo approccio. È un’ approccio che ha conseguito il massimo riconoscimento dei diritti, che significa che dalla Convenzione noi non dobbiamo più chiedere i diritti, dobbiamo chiedere che siano applicati e quindi c’è una nuova responsabilità degli Stati e delle amministrazioni pubbliche, ma anche per i privati, ed è un cambiamento culturale sostanziale perché si passa dal riconoscimento dei bisogni al riconoscimento dei diritti, cioè noi siamo parte della società, non siamo più quella parte esterna, quella parte che beneficia della forma tradizionale, diciamo biblica, nel senso che noi siamo gli ultimi a ricevere e i primi a essere tagliati. Ecco noi siamo parte di quella società, quindi dovremo essere tutelati come gli altri e l’altro elemento di cui si parla nella Convenzione è che per tutelare i diritti delle persone con disabilità non c’è un’approccio prevalentemente medico, tecnico, ma è prima di tutto un compito culturale e politico, il compito di riconoscere questa trasformazione dell’ approccio. È una trasformazione che è avvenuta in tempi rapidissimi - 35 anni a livello internazionale sono pochissimi - ma che è avvenuta soprattutto perché le organizzazioni delle persone con disabilità sono state al centro di questa battaglia e sono diventati protagonisti. Se leggiamo l’articolo 3 della Convenzione, scopriamo che non si parla di malattia, non si parla di invalidità, di incapacità, ma bensì si parla di dignità autonomia indipendenza non discriminazione. Allora questa trasformazione culturale significa che non c’è più quella azione tradizionale che ci vedeva appunto persone che erano titolari di interventi di sanitaria di assistenza. In Europa i 65.000.000 che vivono nel nostro continente stanno sperimentando ancora, il tentativo di tornare indietro, di pensare che il welfare sia un lusso, di pensare che se bisogna essere competitivi il welfare va eliminato, perché in India, in Cina, in Brasile non ci sono questi lussi. Allora vedete quello che noi poniamo no è un problema di secondo livello, ma è un problema politico generale. La Convenzione riconosce i diritti delle persone con disabilità di godere degli stessi diritti umani. Bene questa condizione oggi è sostanzialmente violata a tutti i livelli, perché noi siamo entrati in società da poco, secondo l’Europa noi abbiamo un tasso di disoccupazione al 70%, pensate che nella ricca Europa ancora più del 60% dei bambini con disabilità va in una classe speciale o in una scuola speciale, quindi vedete come i trattamenti discriminatori ci siano ancora. Allora vedete che questo trattamento differente senza giustificazione è esattamente quello sul quale pone attenzione la Convenzione, e lo pone non solo per persone che sono in sedia a rotelle, per persone cieche, sorde. Ebbene questa è la trasformazione iniziale, la condizione delle persone con disabilità nel mondo è una questione di diritti umani, perché ogni volta che c’è un trattamento differente senza giustificazione, c’è una violazione di questi diritti. È un campo nuovo, è un campo che la società non ha ancora digerito, ma è un campo che le Nazioni Unite hanno voluto ricordare e sottolineare quando hanno scelto di fare una Convenzione legata ai diritti umani. Perché una persona sorda non può accedere ad una stazione? Perché se per caso danno dei segnali vocali, che quella stazione ha cambiato il treno, ha cambiato il binario, la persona sorda non riceve le informazioni.
Perché una persona cieca che va in centro per l’impiego non può avere una documentazione adeguata che possa leggere in eguaglianza di opportunità che spetta agli altri? Allora vedete la società è oggi responsabilizzata in modo diverso, perché la Convenzione all’articolo 5 parla esattamente di garantire la parità e la non discriminazione, due concetti nuovi e importanti, perché mettono in campo una nuova responsabilità dello Stato e nello stesso tempo di tutti gli enti pubblici, perché va vietata ogni forma di discriminazione sulla base della disabilità. Faccio degli esempi un po’ banali: il tasso di disoccupazione in Italia, secondo l’ultima indagine ISTAT di due mesi risulta pari all’8,4% del mercato ordinario, secondo l’ultima indagine isforp del 2005 siamo al 75%. Vedete non è una questione di difficoltà, c’è qualcosa di diverso, la gran parte di voi prende il treno quando vuole e scende quando vuole e dove vuole, la gran parte di noi può prendere solo prenotandolo avendo una sola carrozza per ogni percorso solo su alcuni percorsi, due posti per ogni carrozza e può scendere su 240 stazioni su 2400. Vedete come è differente la condizione, ed è una condizione differente perché la società si è dimenticata di noi. Oggi abbiamo un contenzioso forte con la scuola, che aumenta il numero di alunni per classe, arriviamo in molte Regioni a 30 35, eppure c’è la legge dello Stato che dice che per poter garantire l’eguaglianza delle opportunità ai bambini con disabilità bisogna garantire un rapporto 1 a 25 2 a 20. Vedete come la discriminazione diventa anche il rifiuto di un accomodamento ragionevole per una soluzione che offre quella particolare attenzione alle persone che hanno quei diritti, e la Convenzione interviene in maniera straordinaria, perchè anche la tutela dei diritti, in Italia non ci sono i diritti soggettivi perfetti per le persone con disabilità, proprio per quell’approccio culturale. La convenzione introduce il principio secondo il quale, se c’è una violazione dei diritti umani, questa violazione è immediatamente esigibile. Si tratta di mettere in campo però un approccio culturale nella tutela che metta in evidenza la discriminazione e la mancanza di pari opportunità, la violazione dei diritti umani, perché vedete la discriminazione sulla base della gravità è una cosa sottile, poco chiara, significa essere trattati in modo diverso, pensate all’esempio di chi va in centro d’impiego e non le informazioni come gli altri, per esclusione quanti bambini ancora oggi nelle scuole non vanno alla gita scolastica, perché non ci sono i pullman accessibili o per restrizione, certo tu puoi accedere ma solo ad una parte, che so io vado in un cinema e scopro che posso andare solo all’ultimo piano o piano terra certo proprio di fronte allo schermo, che opportunità è questa, che restrizione c’è. Ebbene questo può essere sia cosciente che incosciente, io faccio reclutamento di personale e dico non voglio le persone cieche, questa è diretta, oppure posso fare un reclutamento di personale al terzo piano senza ascensore e io sono il primo escluso. Ebbene la convenzione copre tutti e due le discriminazioni e dice che vanno tutelate, anche quando c’è un rifiuto di un accomodamento ragionevole c’è discriminazione, quindi quando un alunno va in una classe con più di 25 alunni, quella è discriminazione. E la discriminazione tocca in maniera più pensante le donne, le donne con disabilità perché loro vivono una multi discriminazione, la discriminazione come le persone con disabilità e come donne. Vi do alcuni dati, in Sardegna per esempio, solo un terzo delle donne con disabilità va a lavorare, delle poche persone con disabilità che lavorano eppure, insomma, sono la metà delle iscritte, questo è un esempio per far capire come sono tante le discriminazioni che vivono e che vivono a tutti i livelli. L’altro aspetto, oltre alla discriminazione è quello della parità di condizione, ed è un elemento molto importante anche per intervenire sui tagli, sui famosi tagli. Secondo la definizione delle Nazioni Unite, nelle regole standard del 1993, pari opportunità è prima di tutto avere una società accessibile, e siamo ben lontani da averla, e secondo, che il bisogno di ognuno e di tutti gli individui è di uguale importanza. Quante volte andiamo negli assessorati e ci dicono che non ci sono i soldi, non è così, i soldi per tutti sono i soldi per noi. Certo c’è il taglio delle spese sociali, ma non c’è il taglio in altri settori o in quegli altri settori non si è mai investito per le persone con disabilità, penso ai trasporti, al turismo, penso alle attività di qualsiasi tipo che ci riguardano. E anche in questo modo, quindi, la pari opportunità è l’utilizzo delle risorse in eguaglianza per tutti quanti, nello stesso è rifiuto dell’ istituzionalizzazione. Non esiste un’esistenza individuale, noi possiamo essere parte della società quando la società ci considera parte, e alla fine, questo documento dice che quando avremo conseguito gli stessi diritti, avremo gli stessi doveri.
E’ un fatto importante perché gli stessi diritti sono responsabilità della società, prima di tagliare a noi dovrebbe garantirci i diritti ed è esattamente quello che è avvenuto per esempio con la sentenza 80 della Corte Costituzionale che ha costretto Tremonti a modificare la finanziaria del 2008 che tagliava indiscriminatamente i fondi alla scuola. La Corte Costituzionale quest’anno è intervenuta per dire non puoi fare così, non puoi trattare le persone con disabilità che hanno bisogno di sostegni maggiori come gli altri alunni e l’ha costretto a cambiare la procedura con la manovrina di luglio per sottolineare come la società è responsabile di garantire la pari opportunità. Il più delle volte, le persone con disabilità vivono in una condizione di povertà, c’è una povertà che tutti conosciamo, quella più diffusa, la povertà per condizioni economiche e per mancanza di condizioni sociali che produce in tanti paesi del mondo, per malnutrizione per condizioni di degrado e così via la condizione di disabilità. Poi c’è l’impoverimento sociale, cioè quando io incontro una barriera, un ostacolo che mi impedisce di partecipare, di essere parte della società, divento una persona impoverita, una persona a cui è stata tolta qualche cosa, e non è solo il diritto ma anche la capacità di esigerlo, di essere partecipe, di intervenire all’interno della società. Queste due povertà per le persone con disabilità si accrescono, si moltiplicano. Nel Regno Unito c’è stata una ricerca che ha fatto emergere che una famiglia con disabilità ha il doppio di probabilità di diventare povera rispetto ad una altra famiglia, perché la persona che vi vive dentro ha dei costi aggiuntivi, ma c’è un altro dramma,il dramma forse più grave, è che si è impoverita la società, quando ci ha messo in istituto, quando ci ha cancellato, quando non ci ha più trattato come prima. Si è impoverita nella maniera di non saper più tutelare i nostri diritti umani e di vederci come persone strane, diverse, da curare, da assistere, non è così; e dall’altro lato ha dato soluzioni povere, si pensi all’articolo 12, l’articolo più straordinario della Convenzione, che tratta della tutela dei diritti umani delle persone che non possono rappresentasi da sole, oggi queste persone se perdono la famiglia vanno in istituto. E’ un trattamento rispettoso dei diritti umani? È un uguale trattamento rispetto ad altri? Vedete come le trasformazioni della convenzione impongono un cambiamento sostanziale, eppure in Europa sono ancora mezzo milione le persone con disabilità rinchiuse in mega istituti. Ebbene per questo noi lavoriamo per l’empowerment, un processo fondamentale. Empowerment è una parola che ha due significati, accrescere le capacità delle persone che sono state impoverite e ridare alle persone il potere che la società gli ha espropriato, non facendole partecipare, è un processo complesso e io qui potrò solo dire che esiste un empowerment individuale, che si fa in tanti modi: uno sociale che produce la partecipazione e uno politico che da alle organizzazioni quella capacità di interloquire con le istituzioni perché sappiano e che chiedano i diritti che ci spettano. Questa condizione delle persone con disabilità, è una condizione che ci ha prodotto uno stigma negativo, chi ci vede immagina già che una persona con disabilità come Francesca sia incapace, che Giampiero sia un poverino, che AnnaMaria non sappia fare qualsiasi cosa. In realtà è il frutto di un modello medico, che la disabilità ci vede ancora malati, invalidi, in cui intervento è solo una guarigione. Allora vede che il modello sociale basato sui diritti umani che impone la convenzione è una trasformazione fondamentale, che sottolinea che siamo cittadini come gli altri, che non dipende dalle nostre condizioni la cittadinanza e il godimento dei diritti e che ogni parte della società è responsabile di dare delle risposte appropriate, in termini di accessibilità. Anche qui bisogna fare un passo avanti, non è più l’accessibilità di prima, (la rampa) si parla di informazione, si parla di accesso a beni e servizi, si parla di negozi, si parla di servizi turistici e così via. In Europa noi non siamo cittadini perché non ci muoviamo come gli altri, non abbiamo quella libertà di movimento. La convenzione introduce il concetto di universal design, cioè siccome la disabilità appartiene a tutto il genere umano, non è più una convenienza di poche, ma è un intervento che riguarda l’insieme della società, e le forze politiche istituzionali devono pensarci non più come una nicchia ma come qualcosa appunto di completamente diverso. Questo cambia anche l’approccio delle politiche alla persona, si parla di vita indipendente, ma bisogna anche capire che va distinta, la vita indipendente di un ragazzo di 20 anni non è di stare in casa, ma è di muoversi, di avere la possibilità di partecipare come gli altri, ed è ben diversa dalla condizione di una persona anziana e credo che la Regione faccia bene e i Comuni facciano bene a distinguere questi due livelli perché sono approcci e sostegni molto diversi. Pensate al concetto di autonomia, di autodeterminazione , indipendenza e di interindipendenza che sono i concetti base su cui noi costruiamo la vita indipendente , l’autonomia di liberarsi dalle dipendenze affettive e psicologiche quindi di essere in grado di intervenire nella società senza dipendere dagli altri, l’autodeterminazione che è la capacità di scelta. Come siamo impoveriti quando ci impediscono di prendere delle decisioni e quando non partecipiamo alla società. L’indipendenza è compiere autonomamente, in senso concettuale, significa certo avere gli ausili appropriati ma eventualmente una persona, l’assistente personale che può aiutare e l’interindipendenza è vivere con la società. Ecco in questo senso io vorrei sottolineare che la Convenzione ha un approccio proprio diverso, sottolinea che le persone con disabilità non devono essere solamente riabilitate, riabilitare è un concetto semplice: recuperare quello che si è perso, ma devono essere anche abilitate, cioè essere in grado una volta che si è stabilizzata la loro condizione, di compiere le attività come gli altri cittadini. Purtroppo la società si è dimenticata che noi leggiamo a occhi chiusi e ci muoviamo senza l’uso degli arti, comunichiamo senza l’uso della parola e ci relazioniamo a cuore aperto con gli altri. La Convenzione chiede di riabilitare la società a rispettare i nostri diritti a dare a noi quelle risposte che sono necessarie e di abilitare i professionisti e anche i decisori politici a vederci in modo diverso, a ragionare con il mainstreaming, a ragionare con questa definizione della disabilità che è il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena partecipazione alla società su base di parità con gli altri. Vedete un cambiamento sostanziale, non sono io disabile, ma sono disabile sotto certe condizioni. Nelle sedi in tutto è accessibile io non ho alcuna disabilità. Ebbene questo concetto, che la nostra condizione è una condizione di trasformazione ha delle conseguenze molto importanti, voglio farle percepire. La Convenzione dice che Giampiero Griffo è parte della diversità umana, il fatto che non cammini ci appartiene, come apparterrà a tutti in un modo o nell’altro la disabilità. Questa condizione di diversità umana dipende però, se può partecipare o no nella società, ma come la società ci tratta, da come rispetta le nostre caratteristiche. E nel momento in cui le caratteristiche sono dimenticate, ogni volta che io faccio un’ attività mi ritrovo attori sociali e ambientali che mi impoveriscono oppure fattori ambientali che mi ridanno quella capacità di partecipare. Allora è evidente che i processi che la Convenzione introduce, sono quelli appunto di non discriminazione, di pari opportunità e di inclusione. E’ un cambiamento sostanziale, perché sottolinea che le limitazioni non producono immediatamente una disabilità ma dipende da come la società ci tratta, e che questo significa che la prevenzione della disabilità non si fa solo in campo medico, come spesso si dice, ma anche in campo sociale, superando barriere ostacoli e limitazioni. Ecco io voglio solo dire due concetti: quello che la convenzione da è un modello di disabilità diverso e nello stesso tempo chiede un nuovo approccio all’ idea di giustizia, perché le due cose sono combinate, il modello medico dice che la disabilità era basato sulla giustizia metafisica, nella vita futura,(io stavo in un istituto di monache che mi dicevano : diciamo tu sei fortunato nell’aldilà tu sarai ricompensato, e io avevo 10 anni e francamente non riuscivo a capire) però diciamo che noi non vogliamo questo, vogliamo superare la carità, il risarcimento, la protezione, noi vogliamo una giustizia che sia legata ai diritti umani e la giustizia significa che noi dobbiamo ridiventare parte della società essere rafforzati nelle nostre capacità di partecipazione. E’ necessario che società cambi culturalmente l’approccio verso di noi e che rispetti i nostri diritti e valorizzi le diversità umane e questo significa anche cambiare il concetto di welfare, non è più l’assistenza e la cura, ma bensì è l’inclusione sociale, qualsiasi intervento deve rimuovere le barriere, gli ostacoli, garantire alle persone la possibilità di essere cittadini come gli altri. La disabilità è un concetto in evoluzione, cambia e cambia perché qualche anno fa Pablo Pineda ha preso la laurea in Spagna e tutti si sono meravigliati come una persona down prende la laurea. Il problema è diverso, quante persone down possono prendere la laurea con appropriati sostegni. Allora è evidente come questa trasformazione significa responsabilizzare la società a darci delle risposte adeguate, significa riuscire a far capire che Oscar Pistorius non è il disabile che vuole correre con i sani, ma è la rappresentazione di come con la volontà di scegliere una strada di correre anche amputandogli gli arti inferiori, con la volontà e la determinazione di voler costruire un percorso da atleta, lui dimostra che la disabilità non dipende più da una condizione di limitazione funzionale, dipende da come la società, come noi stessi sappiamo rispondere ai vari bisogni alle varie realtà. Per cui il percorso dall’ inserimento dove qualcuno ci metteva dove voleva, all’integrazione, dove noi siamo parte della società senza che questa cambi le regole, noi chiediamo l’inclusione. Inclusione significa cambiare sostanzialmente l’approccio, ridare ai cittadini con disabilità quella condizione che riduca la loro disabilità e farli partecipare in tutti i modi alla società. Un’ultimo aspetto importante, l’inclusione effettiva si fa solo con le persone escluse, quello che è un elemento essenziale alla partecipazione nel caso nostro è addirittura un obbligo, sia culturale che politico. Noi siamo lo slogan niente su di noi senza di noi, perché è uno slogan che mette in campo come oggi noi siamo cresciuti e vogliamo essere partecipi del cambiamento che chiediamo alla società. La Convenzione all’articolo 4 sottolinea che è un diritto umano essere coinvolti nelle decisioni che ci riguardano e lo sottolinea mettendo in evidenza anche un fatto che forse sfugge, la Convenzione è stata scritta anche da noi, quando è stata approvata nell’aula delle nazioni unite c’erano 140 delegazioni ufficiali dei governi che hanno il diritto di scrivere la Convenzione e 800 leader provenienti da tutto il mondo per il movimento delle persone con disabilità e quando il nostro ministro è andato a firmare la Convenzione abbiamo chiesto che fosse accompagnato dalla società civile e che nella nostra delegazione vi fosse anche Nicola una persona con disabilità intellettiva, perché la convenzione si applica a tutte le persone con disabilità, perché questa è una condizione che ci riguarda. Oggi 90 paesi hanno ratificata la Convenzione, su 191, siamo quasi alla metà dei paesi del mondo, e questo ci da la possibilità di valorizzare quello che è un componente essenziale, noi sottolineiamo con forza questo discorso della valorizzazione dei diritti delle diversità umane. Fino a ieri nessuno parlava delle nostre diversità. Io oggi voglio parlarvi di una persona che è vissuta in Sardegna per tanti, Garibaldi ha vissuto tutta una vita una condizione di disabilità, aveva acquisito una artrite deformante, e questa artrite deformante progressiva lo aveva accompagnato fin da quando era in sud america, quando negli ultimi anni della sua vita ha visto aggravarsi la sua condizione, lui ha reso accessibili il compendio garibaldino del La Maddalena e di Caprera e se voi andate a vedere troverete delle rampe, lui si muoveva all’epoca in maniera impensabile con delle sedie a rotelle che gli venivano donate dai reali del mondo e lui aveva una idea diversa della sua condizione, non si vedeva malato, lui ancora nell’ultimo anno della sua vita, da Caprera è venuto a Napoli e poi è andato a Palermo e non si vergognava, all’epoca non esisteva nemmeno l’idea che una persona in queste condizioni potesse muoversi. Garibaldi si sentiva disabile, non malato, eppure questa parte della vita di Garibaldi è stata cancellata, nei libri di storia noi vedremo le foto ad esempio di quando lui si è sposato, ma a mezzobusto, mentre invece lui si è sposato in sedia a rotelle. Ebbene Garibaldi quest’eroe dei due mondi in cavallo o in carrozzina è un eroe che ci appartiene, ma che ci dice che se si vive una condizione come quella di Garibaldi pensandosi disabile si può superare la nostra limitazione se le società, le istituzioni, i cittadini e noi stessi pensassimo che abbiamo il diritto di essere differenti e nello stesso tempo che la differenza sia una cosa buona, ci aiuterà. Perché vedete in questa sala siamo tutti differenti, eppure qualcuno sostiene che differenti siano solo quelli in sedia a rotelle o quelli che non vedono,eppure pensateci un attimo come la differenza vi appartiene, come nessuno di voi voglia essere clonato, e come nessuno di voi si sentirebbe con qualcuno uguale a lui senza una inquietudine o senza una paura. Ebbene la diversità che noi chiediamo che sia tutelata dalla società, rispettata è la stessa vostra. Noi no chiediamo diritti diversi noi chiediamo gli stessi diritti che chiedete voi, gli stessi diritti che appartengono a tutti noi".

Lazzaro 29 gennaio 2012                       
Giampiero Griffo