.

Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

sabato 28 settembre 2013

La lettera del papà di un bambino con Sindrome di Down, spostato in una scuola "speciale"


Milano, 16 settembre 2013
Salve a tutti; dopo quattro anni in una scuola "normale", abbiamo deciso di iscrivere nostro figlio Giulio (sindrome di Down) ad una scuola "speciale". È stata un scelta complessa, meditata e condivisa; quelle che seguono sono alcune riflessioni scaturite da parte mia nei giorni immediatamente successivi a quella decisione. Un pensiero fatto, a mio parere, di grandi speranze ma anche di grande fatica. Buona lettura a chi vorrà.
Milano, 8 giugno 2013
Un cambiamento importante viaggia spesso con una fatica, una sofferenza, un dolore. E quando non è dolore, è riflessione e pensiero su quello che si lascia e perché. È un passaggio obbligato, anche quando il "nuovo" verso cui si è deciso di guardare ci piace, ci convince, ci rassicura. 40 anni fa, in una delle borgate più emarginate di Roma, mia madre, fresca direttrice di una scuola elementare dove la povertà e la disperazione erano all'ordine del giorno, con una passione e una dedizione che non ho mai più incontrato, combatteva e vinceva la sua battaglia affinché nella sua scuola si affermasse e vincesse l'integrazione di tutti con tutti. Era una rivoluzione, e la sua battaglia le ha causato ferite e sofferenze, ma so che, ancora oggi, all' età di 91 anni, ripercorrerebbe strenuamente la stessa strada. Ero un adolescente o poco meno, ma fu una lezione di vita e di partecipazione che non dimenticherò mai.
In questi giorni di ricordi e di pensieri, ciò che più mi risuona di quell'esperienza era la modalità: dove la passione prevaleva sulla ragione ma non sulle regole, ovvero: "Scelgo ciò che ritengo giusto e fa star bene e crescere la società; con questa certezza so di essere in grado di trovare le regole all'interno delle quali calare questo progetto. E se le regole non ci sono o non sono abbastanza adeguate al progetto, spenderò tutte le energie necessarie affinché siano predisposte nuove regole o adattate nel miglior modo possibile quelle esistenti".
Ma quel progetto, quella focalizzazione sul bene del bambino e sul valore del suo completo inserimento nel mondo dei "normali" rimaneva in cima al pensiero e alle azioni di mia madre.
Sono passati tanti anni e tanti sono stati i passi avanti fatti, sia nella regole che nella naturale predisposizione di tutti verso questo senso di civiltà e di società aperta, accogliente e solidale.
Così, per una di quelle combinazioni che a volte penso non fanno che confermare che non ci sarà un "disegno divino" ma non può essere tutto così casuale,
dopo tanti anni mi sono ritrovato sulla stessa barca. Per questo (e non solo) dedico qualche ora e qualche riga a riflettere su questi anni, su questi quattro anni vissuti in una scuola dove Giulio ha trascorso le sue giornate e dove è cresciuto.
Abbiamo fallito. Tutti. Tutti e indistintamente. Io come padre, noi come famiglia, le insegnanti, i dirigenti, le famiglie, gli operatori che a vario titolo seguono e curano Giulio. Abbiamo fallito perché la buona volontà e le energie che abbiamo speso non erano sufficienti, in quantità e qualità. Abbiamo fallito perché sentirci impotenti fino al punto di iscrivere Giulio in una scuola speciale (lo stesso tipo di scuola contro cui mia madre si batteva quaranta anni fa) significa che avevamo "speso" tutto quello che potevamo spendere. Abbiamo fallito perché abbiamo  rincorso le nostre tensioni personali e i nostri "ruoli" senza metterci abbastanza in gioco e in discussione.
Lungi da me concludere che, avendo fallito tutti, non ci siano responsabilità individuali. Anche in casi di fallimenti "collettivi" a mio parere
ciascuno deve sentirsi responsabile e a suo modo provare ad immaginare dove, come e quando ha commesso un errore, una leggerezza, una mancanza. Da parte mia ne ho riconosciute tante, non ho remore nel cercare di capire e provare a migliorare. Ma non siamo "singoli" messi assieme casualmente. Non basta un esame di coscienza personale per una qualche forma di catarsi individuale. Se siamo assieme e assieme lavoriamo assieme sui nostri figli, non è solo perché questi crescano sani ed educati. È perché la somma dei nostri agire è superiore alla somma aritmetica di ciascuno di noi. Quello a cui partecipiamo con il nostro contributo si chiama società, si chiama sistema valoriale, si chiama partecipazione e solidarietà. E se qualcosa non funziona, non possiamo permetterci il lusso di difenderci dietro un "ho fatto quello che potevo", "ho fatto il mio dovere", "ho fatto tutto con responsabilità". Dobbiamo avere o trovare la forza e il coraggio di andare oltre, di metterci in discussione, di interagire con gli altri che partecipano al progetto, di criticare e di ascoltare le critiche. Ci sta tutto e non lo nego: il dolore e la ferita non rimarginabile di noi genitori, la dignità professionale degli insegnanti e degli operatori, il rispetto delle regole dei dirigenti, la partecipazione emotiva dei genitori e dei loro figli. Ma questa volta non è bastato. Questa volta abbiamo rinunciato al "progetto". Proviamo tutti ad avere e credere un po' più di visione, un sogno. Giulio starà bene, crescerà e vivrà serenamente dentro alle sue difficoltà e alle sue fatiche. Tutti noi staremo bene e ce la caveremo egregiamente pur nell'altalena delle gioie e dei dolori. Non è in discussione il nostro "orticello" di singoli, già ben concimato e al tempo stesso impegnativo e a volte faticoso. Proviamo tutti a farci un regalo e a confrontarci; momenti come questo sono dei veri e propri passaggi a vuoto dentro a quella "visione" che fa parte di noi stessi. Non è un incidente di percorso e nemmeno un episodio casuale; è sintomo di qualcosa di più profondo e intenso, non perdiamo l’occasione di rifletterci. Buona vita a tutti.
Claudio

"
il nostro problema non è la materia umana, che c'è; è piuttosto la mancanza di una forma su cui modellare l'esuberanza della materia. Il problema non è il valore dei singoli, ma l'armonia tra tanti singoli di valore- VITO MANCUSO, La religione civile che manca all'Italia, "La Repubblica", 13 gennaio 2009

giovedì 12 settembre 2013

INSEGNANTI DI SOSTEGNO SI NASCE. GRAZIE PROFESSORE FASCI'!

Giacomo e quella scuola che funziona

La scuola che ricomincia è un momento che fa pensare ai problemi. Sono molti. A guardare con l’occhio degli insegnanti o quello degli studenti o ancora quello dei genitori e dei lavoratori. Sulla disabilità questi si elevano esponenzialmente. C’è tempo anche per riflettere su quello. Ma non solo. Perché la scuola che ricomincia è, deve essere, momento di speranza. Il futuro è lì. Il canale scuola di Corriere.it (http://www.corriere.it/scuola/) ha aperto una bella finestra su questo mondo. Anche su InVisibili cogliamo questo momento. Lo facciamo con una testimonianza positiva. Quella di Simonetta che ci racconta di Giacomo e di una scuola che funziona. C’è anche questo. Ed è bello.
Di Simonetta Morelli
Certificazione Obbligo di Istruzione. Al paragrafo 5 -Competenze acquisite al termine del percorso formativo- si rimanda alla relazione finale allegata che “descrive nei dettagli il rendimento scolastico raggiunto”. Seguono sette pagine sette, suddivise in paragrafi, che raccontano l’alunno Giacomo, la sua vita scolastica, la gestione faticosissima e felicissima dei suoi gravi limiti. Tra le righe si leggono una profondità di intesa straordinaria tra docente e alunno e la capacità di ricercare e individuare abilità residue o misconosciute per poi accompagnarle, affiancarle e infine farle sbocciare rendendole così degne di valutazione ufficiale. Ne consegue una ridefinizione della personalità di Giacomo, segno che lui è un ragazzo con una sua propria identità anche pubblica: è un alunno, non un figlio delle stelle come spesso vengono definiti gli autistici, i ritardati, gli epilettici come lui. E c’è umiltà nel testo del professore come se fatica e conquiste fossero solo dell’alunno.
Questa mattina, Giacomo è divenuto ufficialmente alunno del liceo scientifico. Docenti sconosciuti, affannati tra la sala dei professori ed i vari uffici non ci hanno lesinato sorrisi , brevi saluti, presentazioni spontanee. Evidentemente in questa scuola si usa così. Fantastico. Lui nel frattempo ha apprezzato, sornione, l’ampiezza e la luminosità dei locali misurandone prima con lo sguardo e poi con i passi l’adeguatezza alle proprie esigenze, anche estetiche. Ha fatto la fila con me, in segreteria; ha preso l’iniziativa stringendo la mano alle sue professoresse di sostegno. Niente baci e abbracci da parte sua. Niente atteggiamenti affranti, preoccupati o ansiosi da parte loro. Discorsi distesi piuttosto, buona volontà e reciproca richiesta di collaborazione.
Non sono favole né miracoli. Questa è la nostra scuola pubblica quando non mortifica personalità, senso del dovere, civiltà, competenza e cultura dei docenti.
E non è retorica.
Vorrei solo che la fortuna di Giacomo accompagnasse in questo nuovo anno scolastico non solo chi insegna ma anche chi dirige gli istituti e chi fa parte del personale amministrativo tecnico e ausiliario delle scuole (importantissimo nell’essere spesso  sostegno e complice di mamme spaventate). Sono solamente loro la parte sana di una scuola pubblica, da sempre nobile, che l’incuria – dall’alto – vorrebbe falsa invalida.
 Giacomo con il prof. Fascì, l’insegnante che lo ha seguito alle Medie, autore della relazione iniziale del post