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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce
venerdì 29 marzo 2013
venerdì 22 marzo 2013
L’ ASSENTE INGIUSTIFICATO DI NOME SCUOLA
di Simone Fanti
E’ partita il 18 marzo, e proseguirà fino a fine mese, l’iniziativa Assente ingiustificato, una campagna di sensibilizzazione per
l’abbattimento delle barriere architettoniche e psicologiche che
limitano l’accesso allo mondo della scuola a chi vive con una
disabilità. Un’idea promossa da Cittadinanzattiva e dall’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare
(Uildm) e giunta alla nona edizione. Come spiegano gli autori del
progetto «L’assente ingiustificato non è solo lo studente che non può
entrare a scuola a causa delle barriere, ma anche il contesto-scuola che
non partecipa come dovrebbe alla realizzazione di quei percorsi di
autonomia personale, affettiva e cognitiva, che “aprono” a ogni
individuo la possibilità di vedersi protagonista delle proprie scelte e
che hanno proprio nella scuola un fondamentale punto di partenza».
Sono sufficienti pochi dati per comprendere quando ancora si debba fare su questo fronte. Basti pensare che il 9% delle famiglie di alunni con disabilità deve ricorrere alla magistratura per vedersi riconosciuto il diritto a un numero adeguato di ore di sostegno. In media ogni ragazzo può disporre tra le 10 e 13 ore settimanali se si parla di scuola primaria (al Sud la media è di 13,3, al Nord 10,3, al Centro 10,1) e tra le otto e le dieci ore nella scuola secondaria. Poche, ma i responsabili si giustificano con la scarsità dei fondi a disposizione. Benvenuti nell’Italia dei tagli alla scuola e al welfare. La fotografia che restituisce l’indagine condotta dall’Istat sulla popolazione degli allievi disabili in Italia delle scuole primarie e secondarie di primo grado per l’anno scolastico 2011/2012 ci racconta molto di più.
«Nell’anno scolastico 2011-2012» scrivono gli esperti nel rapporto «sono circa 145 mila gli alunni con disabilità. Nella scuola primaria sono circa 81 mila (pari al 2,9% del totale degli studenti italiani), in quella secondaria di primo grado poco più di 63 mila (il 3,5% del totale)». Se si prendono in considerazione gli ultimi dieci anni il numero degli alunni con disabilità è cresciuto dell’1% nelle scuole italiane, ma se si prende in considerazione solo la “fetta” degli alunni con disabilità l’incremento è di oltre il 30%, circa 20 mila alunni con disabilità in più. A conti fatti, quindi, le iniziative come quella portata avanti dalla Uildm stanno sortendo effetti positivi.
Uno di questi effetti sicuramente è quello di vedere integrate – da apprezzare almeno il tentativo -molteplici forme di disabilità. Non solo disabilità motorie o sensoriali, ma anche intellettive. Stando ai dati del rapporto: «le forme di disabilità presenti (nelle scuole n.d.r) sono molte ma il ritardo mentale è quella che raggiunge la percentuale più alta sia nella scuola primaria (36,3%del totale delle persone con disabilità), che nella scuola secondaria inferiore (42,9%). Vi sono poi i problemi legati all’apprendimento (24,9%), all’attenzione (23,3%) e ai disturbi affettivi e relazionali (18,2%)». Prosegue anche l’inclusione delle persone non totalmente autonome: «uno studente con disabilità su cinque risulta non autonomo in almeno una delle attività indagate (autonomia nel mangiare, nello spostarsi e nell’andare in bagno), e un 7,8% non lo è in tutte e tre le attività» stabilisce il rapporto.
Dietro i numeri e le percentuali ovviamente ci sono le persone. Ragazzi con grandi difficoltà che lentamente si inseriscono nella società. Anche grazie alla scuola, su cui, ormai da anni, lo Stato non investe. Anzi, quasi lo considerasse un inutile orpello, opera tagli che colpiscono indiscriminatamente tutti gli studenti. Specie chi necessita di maggior attenzione. Secondo i dati del Ministero dell’istruzione, università e ricerca «si contano poco più di 65 mila insegnanti di sostegno che svolgono attività di tipo didattico con l’80% degli alunni con disabilità». Quindi in media un insegnante ogni due studenti disabili. Oltre il 40% di questi docenti è precario e cambia di anno in anno (circa il 40% dei ragazzi ha un nuovo insegnante di sostegno) lasciando la persona con disabilità un po’ “spaesato” (leggi la storia di Francesco Gallone). La situazione è ancora peggiore se si parla dell’assistente educativo culturale (Aec), la figura professionale specifica per gli alunni con problemi di autonomia pagata dagli enti locali: le ore settimanali a disposizione scendono in media a 9 per i problemi considerati gravi e a 3 per chi ha limitate problematiche di autonomia. Come se queste persone potessero andare in bagno ad intermittenza e non secondo i propri bisogni fisiologici.
Dall’assistenza alle barriere fisiche: una scuola su cinque presenta ancora barriere architettoniche per scale non a norma, una su quattro non dispone di servizi igienici adeguati, metà non ha percorsi interni o esterni totalmente privi di barriere. Se si sommano il numero ridotto di ore di sostegno disponibili e la presenza elevata di impedimenti all’accesso si comprende poi la scarsa partecipazione alle attività extrascolastiche: in media solo 3 ore a fronte di 20/25 ore trascorse in aula alla settimana.
Tratto da Invisibili.corriere.it
Sono sufficienti pochi dati per comprendere quando ancora si debba fare su questo fronte. Basti pensare che il 9% delle famiglie di alunni con disabilità deve ricorrere alla magistratura per vedersi riconosciuto il diritto a un numero adeguato di ore di sostegno. In media ogni ragazzo può disporre tra le 10 e 13 ore settimanali se si parla di scuola primaria (al Sud la media è di 13,3, al Nord 10,3, al Centro 10,1) e tra le otto e le dieci ore nella scuola secondaria. Poche, ma i responsabili si giustificano con la scarsità dei fondi a disposizione. Benvenuti nell’Italia dei tagli alla scuola e al welfare. La fotografia che restituisce l’indagine condotta dall’Istat sulla popolazione degli allievi disabili in Italia delle scuole primarie e secondarie di primo grado per l’anno scolastico 2011/2012 ci racconta molto di più.
«Nell’anno scolastico 2011-2012» scrivono gli esperti nel rapporto «sono circa 145 mila gli alunni con disabilità. Nella scuola primaria sono circa 81 mila (pari al 2,9% del totale degli studenti italiani), in quella secondaria di primo grado poco più di 63 mila (il 3,5% del totale)». Se si prendono in considerazione gli ultimi dieci anni il numero degli alunni con disabilità è cresciuto dell’1% nelle scuole italiane, ma se si prende in considerazione solo la “fetta” degli alunni con disabilità l’incremento è di oltre il 30%, circa 20 mila alunni con disabilità in più. A conti fatti, quindi, le iniziative come quella portata avanti dalla Uildm stanno sortendo effetti positivi.
Uno di questi effetti sicuramente è quello di vedere integrate – da apprezzare almeno il tentativo -molteplici forme di disabilità. Non solo disabilità motorie o sensoriali, ma anche intellettive. Stando ai dati del rapporto: «le forme di disabilità presenti (nelle scuole n.d.r) sono molte ma il ritardo mentale è quella che raggiunge la percentuale più alta sia nella scuola primaria (36,3%del totale delle persone con disabilità), che nella scuola secondaria inferiore (42,9%). Vi sono poi i problemi legati all’apprendimento (24,9%), all’attenzione (23,3%) e ai disturbi affettivi e relazionali (18,2%)». Prosegue anche l’inclusione delle persone non totalmente autonome: «uno studente con disabilità su cinque risulta non autonomo in almeno una delle attività indagate (autonomia nel mangiare, nello spostarsi e nell’andare in bagno), e un 7,8% non lo è in tutte e tre le attività» stabilisce il rapporto.
Dietro i numeri e le percentuali ovviamente ci sono le persone. Ragazzi con grandi difficoltà che lentamente si inseriscono nella società. Anche grazie alla scuola, su cui, ormai da anni, lo Stato non investe. Anzi, quasi lo considerasse un inutile orpello, opera tagli che colpiscono indiscriminatamente tutti gli studenti. Specie chi necessita di maggior attenzione. Secondo i dati del Ministero dell’istruzione, università e ricerca «si contano poco più di 65 mila insegnanti di sostegno che svolgono attività di tipo didattico con l’80% degli alunni con disabilità». Quindi in media un insegnante ogni due studenti disabili. Oltre il 40% di questi docenti è precario e cambia di anno in anno (circa il 40% dei ragazzi ha un nuovo insegnante di sostegno) lasciando la persona con disabilità un po’ “spaesato” (leggi la storia di Francesco Gallone). La situazione è ancora peggiore se si parla dell’assistente educativo culturale (Aec), la figura professionale specifica per gli alunni con problemi di autonomia pagata dagli enti locali: le ore settimanali a disposizione scendono in media a 9 per i problemi considerati gravi e a 3 per chi ha limitate problematiche di autonomia. Come se queste persone potessero andare in bagno ad intermittenza e non secondo i propri bisogni fisiologici.
Dall’assistenza alle barriere fisiche: una scuola su cinque presenta ancora barriere architettoniche per scale non a norma, una su quattro non dispone di servizi igienici adeguati, metà non ha percorsi interni o esterni totalmente privi di barriere. Se si sommano il numero ridotto di ore di sostegno disponibili e la presenza elevata di impedimenti all’accesso si comprende poi la scarsa partecipazione alle attività extrascolastiche: in media solo 3 ore a fronte di 20/25 ore trascorse in aula alla settimana.
Tratto da Invisibili.corriere.it
sabato 9 marzo 2013
UN LIBRO DA LEGGERE
La mia vita senza tacchi a spillo.
Giusy Versace: io e la femminilità
Giusy Versace (sì, la famiglia è quella che immaginiamo)
ha affrontato di colpo la disabilità quando aveva 28 anni: le gambe
amputate da un guard rail sulla Salerno-Reggio Calabria. Nella sua vita
c’è un prima e un dopo, come spiega nel libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque”
(Mondadori; la foto, di Jennifer Lorenzini, è quella della copertina).
Anche nel suo modo di intendere la femminilità. Ce lo spiega oggi,
“Festa della donna”, con un augurio: “Auguri a tutte, ma proprio a
tutte, le donne: siamo come ci guardiamo”.
di Giusy Versace*
Nel 2005 ho perso le gambe in un incidente stradale e insieme alle
gambe credevo di aver perso anche una parte della mia femminilità. Ho
sempre considerato le gambe come la parte più femminile di me,
perdendole ho iniziato a vedermi come un piccolo mostro. Ho dovuto imparare nuovamente a guardarmi allo specchio, vestita in
modo diverso rispetto a come ero abituata a vedermi prima. Indossavo
spesso pantaloni stretti, fuseaux e scarpe col tacco. Adoravo i vestiti
corti e le mini gonne. Di colpo ho dovuto affrontare un nuovo nemico:
l’armadio. Affrontai una sfida: raccogliere in grandi buste tutti i
vestiti e le scarpe che non avrei potuto più indossare e trovare il
coraggio di darle via. Il pianto liberatorio, condiviso con mia madre,
mi diede la forza necessaria per farlo. Col tempo ho imparato ad apprezzare e valorizzare ciò che di me era
rimasto, senza perdere troppo tempo a pensare a ciò che non avevo più. Essere guardata in modo “diverso” mi metteva a disagio, finché un
giorno capii che ero io quella diversa, semplicemente perché non mi
sentivo bene con me stessa. La gente guarda semplicemente perché non è
abituata a vedere, ma io “guardavo” perché la mente mi proiettava
un’immagine di me che ormai non esisteva più. Pensare alla mia nuova vita senza tacchi mi ha fatto spesso sentire
buffa e goffa, in alcune situazioni finanche inappropriata. Per esempio,
ricordo con simpatia quando una sera le mie migliori amiche mi
proposero di andare a una festa. Evviva! Non vedevo l’ora. Avevo
imparato a camminare senza stampelle da pochi mesi e l’idea di uscire e
fare un po’ di vita mondana mi elettrizzava come un’adolescente al suo
primo appuntamento. Cercai di vestirmi in modo carino, ma nell’aprire
la scarpiera la scelta era più o meno sempre la stessa: sneackers,
ballerine. Pensai subito che forse nessuno mi avrebbe guardato i piedi e
che la cosa più importante era sfoggiare il sorriso più bello. Indossai
una camicetta attillata con una collana lunga colorata, un po’ di
trucco, un tocco di gloss alle labbra e via. La compagnia e l’affetto
delle mie amiche mi aiutò quella sera a essere, ancora una volta e
nonostante tutto, protagonista di una serata importante. A nessuno
importava che scarpe indossassi, nessuno notò il mio largo pantalone
nero, in compenso mi fecero tanti complimenti per la collana e per il
sorriso. La gente ci vede in base a come noi ci poniamo. Maggiore è la
stima che nutriamo di noi stesse, migliore è la percezione che la gente
avrà di noi. Allora, di che parliamo?! Cosa vuol dire femminilità?
Sembrerà banale, e magari lo è, ma un sorriso è in grado di
sprigionare più femminilità di un tacco a spillo. Difficile crederci,
per chi è abituata magari a indossarli o per l’immagine femminile che ci
viene spesso proposta, lo so bene! Ma, provate a immaginare una
“musona” o una persona triste e negativa su un paio di tacchi e poi
ditemi che effetto vi fa. Se poi scegliete invece di mettere i tacchi solo per sembrare più
alte, beh allora vi capisco! Siete assolutamente giustificate. Io ho
risolto il problema così: vado da un tecnico e mi faccio fare le gambe
di qualche centimetro più lunghe. Comodo no? In fondo, se ci pensate
bene, con un paio di scarpe comode si evitano anche i rischi di
incappare in brutte figure, si evitano possibili scivoloni o inutili e
antipatiche storte alle caviglie. In sostanza, ci si sente più a proprio
agio e si sorride molto di più. Non potrò mai dimenticare le parole che mi scrisse un amico stilista
qualche tempo fa: se osi con una scollatura apparentemente discreta,
nessuno noterà le ballerine che avrai ai piedi.
“Donne, donne…. oltre le gambe c’è di più”, cantava la bella Jo Squillo. E’ proprio vero…
*Professionista nella moda, atleta paralimpica, presidente di “Disabili no limits”
Tratto da invisibili.corriere.it
giovedì 7 marzo 2013
PER LA FESTA DELLA DONNA LA VERA MIMOSA E' UNA GARDENIA!
Si avvicina la festa della donna, e con essa la corsa alla mimosa, fiore simbolo di questo giorno. Ma, bando ai simboli, essere dalla parte delle donne significa combattere al loro fianco nelle battaglie più importanti.
E l’invito dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) è, anche
per quest’anno, quello di stare dalla parte delle donne contribuendo
alla ricerca per la cura di una tra le malattie a più alta incidenza
femminile: la sclerosi multipla.Oggi e domani torna dunque l’appuntamento con la Gardenia dell’AISM, la manifestazione per dire no alla sclerosi multipla con un gesto concreto. La vicinanza con la festa della donna, dicevamo, non è casuale. La sclerosi multipla, infatti, è una malattia degenerativa che colpisce in massima parte le donne:
su 63.000 persone con SM in Italia, oltre 42 mila sono donne, ovvero
due su tre. Ecco perché l’invito è quello a regalare meno mimose e più
gardenie, simbolo dell’AISM. Oggi e domani, circa 3.000
piazze in tutta Italia saranno quindi punteggiate di bianco e rosso: il
bianco dei fiori e il rosso dei sacchettini in cui sono confezionate le
piante di gardenia che si riceveranno a fronte di una donazione
di 13 euro che servirà a contribuire alla ricerca sulla Sclerosi
Multipla e i servizi sanitari e sociali per le donne che soffrono di
questa patologia. Nei punti di solidarietà si troverà anche tanta informazione,
grazie ai volontari dell’associazione, affiancati dalla Protezione
Civile, dall'Associazione Nazionale Bersaglieri unita all'Associazione
Nazionale Carabinieri, Assofante e all’Unione Nazionale Sottufficiali
Italiani.Ma la solidarietà non si ferma: si potrà continuare a sostenere il progetto “Donne contro la SM” fino all’11 marzo 2012 inviando un SMS solidale al numero 45599,
il cui ricavato servirà a finanziare un progetto sul rapporto tra
gravidanza e sclerosi multipla condotto nel laboratorio del centro
sclerosi multipla dell’ospedale di Orbassano (TO), vincitore del Premio
Rita Levi Montalcini nel 2011. Come sempre, diversi i volti dello spettacolo che non hanno fatto
mancare il loro supporto alla giornata della gardenia AISM, a partire
dalla madrina Antonella Ferrari passando per Valentina Vezzali, Michela Andreozzi e i testimonial Massimiliano Rosolino, Natalia Titova e Noemi, protagonisti degli spot tv.
Tratto da Disabili.com
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