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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

lunedì 2 aprile 2012

Massimiliano e Carlo, i padri che non fuggono


Massimiliano e Carlo non sono scappati. Sarebbe stato più facile fuggire dalle responsabilità e dalle fatiche di un figlio disabile. Sarebbe stato semplice varcare fisicamente la porta per non sentire più l’acuto stridore delle urla che trafiggono le orecchie e l’acre odore delle funzioni fisiologiche espletate in loco che punge le narici. Sarebbe stato più comodo trasferirsi e ricostruire un altro nucleo famigliare con figli che considerano “sani”. Gli uomini sembra riescano meglio delle donne a recidere il cordone ombelicale che li unisce ai figli. Così nella disabilità come nella quotidianità. Non è necessario scomodare le statistiche per misurare il fenomeno. E’ sufficiente guardare alla stretta cerchia delle proprie amicizie per scoprire quante coppie scoppiate si contendono i figli e quante madri abbandonate crescono i loro cuccioli in solitaria e silenziosa autonomia. Ma la realtà parla anche di padri divorziati alla ricerca del modo di trascorrere ancora un po’ di tempo con i propri figli prima che questi siano troppo cresciuti.
La realtà parla anche di Massimiliano e Carlo. Due padri diversi, più noto il primo Massimiliano Verga (leggi la storia sulla 27esimaora), che attraverso le pagine del libro Zigulì ha urlato e raccontato i dolori e le angosce di essere papà nella disabilità. Al lettore non ha risparmiato nulla di questa quotidianità famigliare. Nel libro accanto alla rabbia gridata spesso con forza, al senso di inadeguatezza, all’impotenza di fronte a una società che non vuole vedere e capire, Verga riesce a trasmettere i suoni, gli odori, le paure, le incertezza di chi è solo a combattere un “mostro” più grande di lui. Che piaccia o meno anche questa rabbia è simbolo dell’amore immenso che lega un padre a un figlio.
L’altro, Carlo, è l’esempio di tanti altri padri che vivono nell’ombra queste difficoltà. Conosciuto in una piccola cerchia di amici, non ha più tempo per sè e dedica ogni pensiero e ogni minuto libero dal lavoro al figlio tetraplegico. Non ha scritto un libro e forse non lo scriverà mai. Purtroppo. Ho incontrato Carlo e sua moglie una sera a cena e ho scoperto una famiglia che, nelle mille tensioni della quotidianità, rema in un’unica direzione, compatta e solidale. Così Carlo e sua moglie sono, giorno dopo giorno, lì per il loro figlio. Nel loro cupo silenzio forse non hanno mai accettato che una malattia portasse via i movimenti del figlio, la sua adolescenza, il suo futuro da adulto indipendente. Carlo ha scelto, ha deciso con la moglie Maria di sovvertire la scala dei valori che la società impone, tornando a porre al centro della sua vita la famiglia e quel bambino un po’ cresciuto che in un eterno bozzolo non può sviluppare le ali per volarsene via. Carlo ha deciso: sarà le ali di suo figlio.





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