Quell’esigenza vitale chiamata Lavoro
Alla fine è arrivata anche la condanna dell’Europa.
L’Italia non ha fatto abbastanza per abbattere le barriere, fisiche,
normative e psicologiche, per consentire l’ingresso alle persone con
disabilità nei normali percorsi lavorativi. Bocciatura che viene
confermata dai dati: il tasso di disoccupazione tra le persone con
disabilità sfiora l’80% e circa 600 mila domande di lavoro attendono
inevase negli uffici provinciali del collocamento mirato. Basta! Basta,
non smetteremo mai di gridarlo!
Dati, statistiche e numeri fanno ombra
alle persone, ai sogni d’indipendenza, di vita autonoma, di
autorealizzazione… Quante storie ho sentito, quante persone mi hanno
confessato i propri dolori e angosce, le paure, le delusioni… E’
veramente ora di dire basta. Il lavoro non si crea per decreto legge
quasi per magia, ma si possono ricreare le condizioni attraverso cui le
persone abbiano una possibilità. Gli under o over qualcosa (si tende a
categorizzare per età le fasce di popolazione più in difficoltà) con o
senza disabilità, in situazione di disagio o no, aspettano una risposta.
Mai come in questo periodo, per vicende personali e per situazioni che coinvolgono l’azienda che edita questo blog,
mi sono soffermato a pensare al lavoro. Sono riaffiorati i ricordi di
un passato in cui il lavoro mi ha salvato la vita. E’ stata la mia
medicina. Da quel letto in riabilitazione dove sono stato steso immobile
per molte settimane, non mi sarei forse più rialzato se non fosse stato
anche per un avveduto direttore che come cadeaux, accanto a qualche
chilo di Nutella, mi fece recapitare un computer.
Un pc, la mia scrittura, il mio lavoro… ed è rinata la voglia di
reagire a una situazione che mi aveva portato a qualche passo dalla
morte. E’ difficile tornare a quei momenti senza che vengano i
lucciconi. Quando ti svegli e, di colpo, ti scopri inutile, un
mucchietto di carne che non si muove. Il tuo cervello che si avvicina
pericolosamente a stati depressivi. Amici e genitori cercano invano di
scacciare in un angolino i tuoi pensieri negativi: chi amerà mai un
paraplegico? come farò a mantenere me e un’eventuale famiglia? Poi
arriva la notte con i suoi silenzi, le sue ore che non passano mai e la
mano si avvicina al pacchetto di farmaci che un infermiere distratto ha
abbandonato sul comodino.
Il lavoro è vita, o almeno lo è stato per me. Undici anni fa, quando
ebbi il mio incidente, incontrai le persone giuste al momento giusto, un
editore, un direttore e dei colleghi che con grande intelligenza
capirono ciò che solo oggi riesco ad apprezzare. Scelsero
consapevolmente di darmi una seconda possibilità, regalandomi una
seconda esistenza. Scelsero allora di far di tutto per riavermi al più
presto in redazione. Un’ora alla settimana, poi mezza giornata, poi una
giornata intera. Ricordo il giorno in cui riuscii a fare ben tre ore nel
mio vecchio ufficio e poi dovetti trascorrere due giorni a letto con la
febbre perché avevo forzato troppo la mano e il mio corpo non riusciva a
seguire la mia voglia di vivere. Ma ero tornato a vivere… ed ero felice.
Tratto da: invisibili.corriere.it
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