Caro nipote di Umberto Eco, occhio alle parole sulla disabilità
Caro nipote di Umberto Eco,
non conosco il tuo nome, non so quanti anni tu abbia, ma mi permetto
di rivolgermi con il tu, visto che anche io potrei essere un nonno, pur
se abbastanza giovane (almeno dentro). Scusa se ti scrivo, aggiungendomi
umilmente alla lunga missiva che ti ha spedito l’illustre e coltissimo nonno.
I suoi consigli sull’uso della memoria sono assolutamente apprezzabili e
li condivido appieno, ma la Eco di alcune sue parole, all’interno della
lettera pubblicata sull’Espresso, e dunque letta da tantissime persone
di ogni tipo, e in particolare i suoi esempi riferiti alla condizione
delle persone con disabilità, mi è arrivata da ogni dove, fino a
spingermi a prendere carta e penna virtuali. Mi rivolgo direttamente a
te, perché non me la sento di competere con cotanto avo. Ma andiamo con
ordine.
So che stai esercitando la memoria, come ti chiede il Nonno, ma nel
caso ti fossi dimenticato alcune sue frasi, le riporto qui: “Ma se non
cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi
per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so
che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al
tuo cervello – scrive nonno Umberto - La memoria è un muscolo come
quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal
punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un
idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si
diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo
spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria”.
Ecco, come vedi il grande Umberto usa due volte un termine ben
preciso, “diversamente abile”. Ti assicuro che questa ipocrita locuzione
non mi piace affatto, anzi non piace ai diretti interessati di tutto il
mondo, che infatti, alle Nazioni Unite, hanno detto chiaro e tondo che
siamo “persone con disabilità”. Persone, capisci? Ovvero ognuno di noi,
sia che viva come me in sedia a rotelle (o carrozzina: non carrozzella,
come scrive il Nonno, perché la carrozzella è quella che circola nelle
vie del centro di Roma o di Firenze, tirata da cavalli), sia che usi un
bastone bianco, o non ci senta, o abbia dei deficit di natura
intellettiva, è prima di tutto una PERSONA, ha un nome, una dignità, un
posto nella società esattamente come te e come tutti coloro che non
hanno alcuna apparente disabilità. Non siamo “diversamente abili”: siamo
quello che siamo, più o meno abili, più o meno in grado di
rappresentare noi stessi con la parola o con lo sguardo o in altro modo.
Scusami se insisto, ma capisci bene che avere un Nonno così colto e
autorevole potrebbe farti pensare che ogni sua parola è vera e giusta,
perché parla quasi “ex cathedra” pur rivolgendosi apparentemente solo
all’amato nipotino.
Già che ci siamo: io e i miei amici in sedia a rotelle non siamo
“COSTRETTI” a muoverci in carrozzina. Al contrario: siamo “LIBERI” di
muoverci GRAZIE alla carrozzina, che è solo un ausilio tecnologico,
manuale o elettronico, sempre più evoluto e personalizzato, che ci aiuta
a superare la nostra impossibilità di camminare. Chiaro? Mi sembra una
precisazione utile, nel caso tu, incontrando una persona in sedia a
rotelle, pensassi magari di dirgli, memore delle parole di tuo nonno:
“Ciao idiota diversamente abile! Poverino, sei costretto in
carrozzella…”. Ecco, non te lo consiglio. Se trovi per caso una persona
paraplegica che fa sport è capace che ti tira un paio di cartoni che non
sai neppure da dove sono arrivati. Occhio dunque: il nonno Umberto è un
grande saggio sulle cose che conosce meglio, ma anche lui è
“diversamente colto” e magari sulla disabilità è rimasto un po’ indietro
nel tempo, e si basa sui luoghi comuni, sui pregiudizi, dei quali
peraltro, da attento studioso delle parole e del loro significato,
dovrebbe ben guardarsi. Diglielo tu, se puoi, io preferisco rivolgermi
ancora a te per qualche piccolo dettaglio.
Non vorrei aver capito male, ma nelle frasi di nonno Umberto c’è
quasi l’eco lontana di un’idea sbagliatissima, molto popolare, anzi
popolana. Una volta si diceva: “La gatta frettolosa ha fatto i figli
ciechi”. Ecco, c’è la convinzione (oggi assai meno diffusa) che la
disabilità sia in qualche modo una colpa, o venga causata da un nostro
comportamento sbagliato: “se non cammini abbastanza…”, “se non eserciti
la memoria…”. Già. Pensa che in passato le mamme indicavano con il dito
la persona “handicappata” quando, volendo rimproverare i loro figli
“sani” magari per la loro vivacità, stabilivano questo impietoso
confronto, quasi un monito “a non diventare come loro”. Ecco: questo
tipo di cultura allontana, emargina, stigmatizza ed è sinceramente grave
che ancora oggi si faccia ricorso ad argomenti così maleducati ed
avvilenti.
Caro nipote, probabilmente non c’era neppure bisogno che ti
scrivessi, perché la tua generazione per fortuna è abituata da tempo a
vivere insieme ai ragazzi e alle ragazze con disabilità, grazie al
sistema scolastico italiano, che fortunatamente non ha dato retta ai
consigli del pedagogo Eco. Perciò, se puoi, fammi un regalo: spiega tu
al nonno come ci si deve comportare, e stupiscilo con una citazione
inglese: “See the person, not the disability”. Buona vita, ragazzo.
Tratto da http://invisibili.corriere.it
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