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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

domenica 20 maggio 2012

"Handicappato sarà lei!". Viaggio fra le parole (buone e cattive) della disabilità


Sono tante e numerose le parole utilizzate per indicare le persone con disabilità: quello della lingua è un vero e proprio campo di battaglia, dove antiche ottiche, impastate di ignoranze e pregiudizi, si scontrano con nuove conoscenze e sensibilità, con nuove esigenze di scienza, di vita sociale, di umanità. Da "handicappato" a "disabile", passando per "storpio" e arrivando al controverso "diversamente abile" un percorso illustrato in compagnia di esperti, artisti, intellettuali
ROMA - Non è facile trovare il modo migliore di definire la disabilità. Sull'argomento le opinioni sono molte, e le parole - molto spesso - dividono. Il nostro mensile, SuperAbile Magazine, ha dedicato al tema un'inchiesta, girando la questione ad alcuni esperti, artisti e intellettuali: da Franco Bomprezzi a Matteo Schianchi, da Claudio Imprudente a David Anzalone, da Gianluca Nicoletti a Massimo Cirri, da Giampiero Griffo ad Antonietta Laterza, fino alla voce dell'autorevole linguista Tullio De Mauro. Per scoprire che non bisogna mai arrendersi alla banalità del linguaggio comune. In questo articolo, e in quelli ad esso collegati, ecco una panoramica illustrata di tutte le parole o le locuzioni utilizzate per definire la disabilità: per ciascuna di esse, una spiegazione da parte di uno degli esperti sopra citati. Nel nostro viaggio abbiamo incontrato "disabile", "costretto su sedia a rotelle", "deficit", "handicappato", "infelice", "matto", "non vedente/non udente", "normodotato", "persona con disabilità", "storpio", fino a "diversabile" e "diversamente abile". All'inchiesta abbiamo dato il nome di "Handicappato sarà lei!", titolo provocatorio scelto per approfondire un argomento spinoso, che oscilla tra la burocrazia delle definizioni e "la moda del politicamente corretto".
Disabile. Il problema di questo aggettivo - spiega Franco Bomprezzi - è che si è trasformato in sostantivo. Ecco perché alla fine è stato necessario articolare il pensiero fino a giungere, in sede di Nazioni Unite, a "persona con disabilità". Disabile di per sé infatti è una evoluzione intelligente di handicappato. Meno greve, meno stigmatizzante, ma pur sempre in negativo, con quel prefisso "dis" che connota la parola, e dunque anche la condizione umana. Disabile però è un termine onesto, in qualche modo ragionevole e realistico. È quasi il naturale punto di congiunzione tra ciò che pensa la gente e la realtà di chi vive su di sé la condizione di disabilità, motoria, sensoriale, intellettiva. È un termine molto generico, non particolarmente offensivo, ma tale comunque da connotare la persona, dimenticando di confrontare la sua situazione con l'ambiente che la circonda, e con il contesto sociale e culturale nel quale è inserita. Non a caso, ormai un bel po' di anni fa, ho pensato a "SuperAbile", quale nome del progetto che Inail stava realizzando. Un gioco di parole, ma anche, in qualche modo, il tentativo semantico di esorcizzare e di ribaltare un altro "luogo comune".
Handicappato. "Abitualmente ci chiamano con una miriade di nomi tutti diversi: disabili, invalidi, invalidi civili, ipocinetici, affetti da deficit motorio che, a sentirlo, sembra si tratti di un nuovo modello di scooter...", commenta il comico Zanza, nome d'arte di David Anzalone. Osservando che l'"accanimento terapeutico" nell'uso dei sinonimi "ci crea delle crisi d'identità pazzesche, tanto che non sappiamo più chi siamo! Forse qualcuno si sente più sollevato nell'usare questi eufemismi, pensando di essere un intellettuale alla ricerca di un linguaggio democratico e sensibile". E a proposito del termine "normale", aggiunge: "Già non siamo uguali nemmeno tra noi, figurarsi se possiamo essere uguali ai ‘normali'. Se poi penso che i cosiddetti normali sono quelli che leggiamo sui quotidiani: il marito che ammazza la moglie, la moglie che fa fuori il figlioletto, il deputato che organizza i festini hard, la madre orgogliosa per la splendida carriera della figlia che partecipa ai festini hard del deputato... Sai cosa vi dico? Che io non solo non sono normale, ma non ci tengo neanche a esserlo!".
Persona con disabilità. "È il termine usato dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità dell'Onu, divenuto standard internazionale", spiega Giampiero Griffo, attivo da 40 anni nel campo della tutela dei diritti umani delle persone con disabilità, membro del Consiglio mondiale di Disabled Peoples' lnternational, del board dell'European Disability Forum per conto del Forum italiano della disabilità e della Federazione italiana per il superamento dell'handicap (Fish). Il termine "persona" - dice Griffo - non descrive un individuo con un attributo che è solo una parte di esso (come per esempio invalido, disabile, diversabile, ecc.), usando un termine (persona) che è neutro, in quanto non ha caratteristiche né positive né negative, e un significato (e valore) universale per tutti gli esseri umani. Il concetto di disabilità poi «è il risultato dell'interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri». Quindi non sono le caratteristiche soggettive delle persone a creare svantaggio ed esclusione sociale. La particella "con" infine rende esplicito che la disabilità è responsabilità sociale, creandosi solo in determinate condizioni: quando una persona in sedia a rotelle incontra una scala, un cieco un testo stampato, quando si parla alle spalle di un sordo. Leggi l'inchiesta sul secondo numero del magazine di Superabile. 

Tratto da www.superabile.it

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