Alcune
analisi, riflessioni e proposte in occasione della Giornata
internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25
novembre) e della Giornata internazionale dei diritti delle persone con
disabilità (3 dicembre)
Le
donne con disabilità sono discriminate sia in quanto donne, sia in
quanto persone con disabilità, e lo sono maggiormente se appartengono a
minoranze etniche, linguistiche o religiose. La violenza nei loro
confronti attinge a un pregiudizio di genere, e cioè alla mancanza di
parità di uguaglianza tra uomo e donna, cui si aggiunge la
considerazione stereotipata relativa al corpo della donna disabile,
percepito in genere come “asessuato”, “anormale” o “malato”.
Fonte: LucidaMente
Ne consegue la negazione di titolarità di diritti, sia come donne,
sia come madri che amiche o professioniste. Questa doppia
discriminazione è causa di varie forme di violenza – alcune esplicite,
altre subdole – difficili da identificare e combattere, perché spesso si
verificano in ambienti familiari o di cura e si manifestano con
modalità non rientranti nella generale e consueta categoria di violenza.
Ad esempio, il diritto alla salute per le donne con disabilità è
condizionato dall’accessibilità dei servizi sanitari e la
discriminazione si può manifestare – per citare un caso – quando,
richiedendo prestazioni come la mammografia e il pap test, si trovano
strumenti diagnostici non adatti per chi ha problemi di mobilità o di
equilibrio, cosicché la difficoltà nel mantenere la posizione adatta o
lo spostamento sul lettino ginecologico – uniti alla scarsa
professionalità del personale sanitario – spesso rendono questi
screening umilianti e imprecisi, con l’unico effetto di diventare un
deterrente alla prevenzione e alla cura.
Cerchiamo di immaginare cosa succede da un punto di vista pratico se la disabilità è intellettiva. I processi sanitari subiscono una battuta di arresto e si opera alla meno peggio. In questi casi si parla di “paziente non collaborante” (e qui bisognerebbe aprire un intero doloroso capitolo). Da una ricerca dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani, emergono altri aspetti allarmanti relativi alla violenza nei confronti delle donne e ragazze con disabilità. In Europa 1.200.000 persone con disabilità vivono permanentemente in istituti (150.000 bambini/e), senza il diritto di una partecipazione alla vita ordinaria, come invece accade agli altri cittadini europei.
Cerchiamo di immaginare cosa succede da un punto di vista pratico se la disabilità è intellettiva. I processi sanitari subiscono una battuta di arresto e si opera alla meno peggio. In questi casi si parla di “paziente non collaborante” (e qui bisognerebbe aprire un intero doloroso capitolo). Da una ricerca dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani, emergono altri aspetti allarmanti relativi alla violenza nei confronti delle donne e ragazze con disabilità. In Europa 1.200.000 persone con disabilità vivono permanentemente in istituti (150.000 bambini/e), senza il diritto di una partecipazione alla vita ordinaria, come invece accade agli altri cittadini europei.
Secondo poi un rapporto del Parlamento europeo, circa l’80%
delle donne istituzionalizzate sono esposte al rischio di violenza,
spesso compiuta proprio dalle persone che dovrebbero prendersi cura di
loro. E ancora, in Germania uno studio commissionato dal Ministero per
la Famiglia rivela che migliaia di donne istituzionalizzate – con
disabilità intellettiva – hanno subito abusi sessuali (fonte: Der Spiegel online,
14 febbraio 2012). C’è poi un altro tipo violenza, quella cioè che si
rivela nella negligenza assistenziale, nel trascurare i tempi dei
bisogni primari individuali – come lavarsi, vestirsi o mangiare – nel
controllare e limitare la comunicazione con l’esterno, senza ascoltare
le richieste personali e restringendo, inoltre, le possibilità di
incontro con familiari e amici. In tali ambiti può anche accadere che
donne anziane e/o con disabilità psicosociali vengano sottoposte – senza
il loro consenso – a trattamenti inaccettabili come l’elettroshock e
purtroppo, in alcuni paesi, sopravvivono pratiche di sterilizzazioni
forzate, nonostante la Convenzione Onu ribadisca il diritto per la
persona con disabilità di decidere su tutti gli aspetti della propria
vita, compresi i trattamenti sanitari (articolo 12).
Denunciare questi abusi non è facile. Le donne con disabilità
sono totalmente dipendenti da chi ha perpetrato loro la violenza e il
timore di perdere il sostegno di cui hanno bisogno ostacola il ricorso
alla giustizia. L’accesso alla giustizia non è comunque agevole, sia per
una scarsa consapevolezza dei propri diritti, sia per la mancata
conoscenza dei mezzi per ottenerla e, laddove viene riconosciuta la
capacità giuridica per avviare il procedimento, spesso si mette in
dubbio la credibilità e l’attendibilità della testimonianza. Come è
accaduto un anno fa a Soweto, in Sudafrica, ove una ragazza con
disabilità di 17 anni è stata rapita, sequestrata e violentata per
giorni da un gruppo di sette ragazzi tra i 14 e i 20 anni, che hanno
filmato e poi divulgato sul web le loro violenze. La vittima aveva già
subito abusi dall’età di 12 anni, ma, nonostante la madre lo avesse
denunciato, la ragazza non era stata creduta, a causa della sua
disabilità intellettiva e delle condizioni di povertà della famiglia
(fonte: Cnn, 19 aprile 2012).
Cruciale, pertanto, è dare visibilità alle multidiscriminazioni subite
dalle donne con disabilità, favorendo una maggiore rappresentatività
dei loro diritti sia a livello politico-istituzionale che all’interno
delle associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. Ed è anche
auspicabile una stretta cooperazione tra le organizzazioni delle persone
con disabilità e il movimento delle donne, per richiedere agli
organismi legislativi e amministrativi competenti le azioni necessarie
attinenti il genere e la disabilità, garantendo l’accesso
all’istruzione, alla formazione, al lavoro, alla salute e al diritto di
decidere su sessualità, gravidanza e adozione. La Convenzione dell’Onu
sui diritti delle persone con disabilità, all’articolo 6 (Donne con disabilità),
pone una particolare attenzione alle donne con disabilità,
riconoscendole come persone esposte a rischio di violenza,
maltrattamenti e abusi e raccomandando agli Stati di adottare misure
amministrative e legislative per identificare e denunciare gli atti di
violenza (articolo 16), con la garanzia dell’accesso a servizi di
protezione sociale (articolo 28).
Fonte: LucidaMente
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