Di Ornella sgroi
“Disabile non è sinonimo di stupido, di malato.
Disabile è sinonimo di chi vuole andare oltre tutto. La disabilità non è un
limite, è una risorsa e, come tale, deve essere trattata. Non lasciatevi
ingannare dall’apparenza, mai”.
Questa frase la scrive Anna, a vent’anni, quando
decide di raccontare la sua esperienza personale in un breve libro, “La
disabilità non è un limite” (Europa Edizioni, 2016), che è più un diario per
fermare le tappe più importanti di questa prima parte della sua vita. Dalla nascita
prematura ai primi anni di università. Ha grinta, Anna. E la sua è la grinta della
“guerriera”, come l’ha voluta la vita, accanendosi con le sue gambe e
opponendosi ai suoi genitori che l’avevano fatta nascere “principessa”. Anna
aveva solo sei mesi quando è nata, insieme al suo fratellino gemello, Giuseppe,
che purtroppo non ce l’ha fatta. E il racconto della sua vita è un insieme di
diagnosi errate, di sguardi eccessivi, interventi e riabilitazioni, incontri
sbagliati e delusioni. Almeno fino a quando non è arrivata la scuola, anche per
lei. Lo studio, più che altro. Con l’amore per l’italiano e la scrittura, i
voti alti, la passione per il teatro, che l’hanno aiutata a venire fuori dal
suo guscio, fatto anche di silenzi. “Più studiavo, più mi piaceva, il semplice
fatto di riuscire in qualcosa mi faceva stare bene” – scrive.
Anna ha imparato presto che doveva lottare per
affermare la propria identità al di là di quella imposta dal suo corpo e ha
capito che doveva cercare i propri punti di forza, investire tutto su di essi.
Già in quinta elementare sapeva che avrebbe voluto fare l’avvocato, l’indole e
la risposta sempre pronta, pungente quando serviva, negli anni l’hanno
accompagnata in questo progetto e oggi studia Giurisprudenza perché cerca
“giustizia” contro chi l’ha fatta soffrire. C’è rabbia nelle parole di Anna. E desiderio di
“vendetta”. Contro chi l’ha derisa o ingannata, i compagni di classe ad
esempio, ripagati passando versioni sbagliate all’esame di maturità. Ma anche
contro chi potrebbe ancora ferirla.
Scorrendo le sue pagine, che vogliono essere un
messaggio di speranza e di incoraggiamento per chi condivide la sua stessa
situazione, questo bisogno così dichiarato di vendicarsi – sono questi i
termini che Anna usa nel suo diario – apre una breccia dentro quell’ombra nera,
dolente e furiosa, che obnubila lo sguardo di una ragazza, incapace giustamente
di comprendere e accettare il gioco scorretto che la vita le ha imposto di
giocare. Un gioco, quello della disabilità, a cui nessun bambino, ragazzo,
adulto vorrebbe mai giocare.
“Non ho più un cuore, non l’ho mai avuto” scrive, e
quando lo scrive Anna ha appena vent’anni. “Non piango davanti a un mazzo di
fiori, se muore qualcuno o se mi si dedicano belle parole. Non mi dispiaccio a
fondo quando qualcuno sta male, perché penso al mio aver versato più lacrime
che respiri in soli venti anni di vita. Sono un semplice pezzo di ghiaccio che
custodisce nel cuore una sofferenza più grande di lei”.
Sì, c’è rabbia nelle parole di Anna. Una rabbia che è
facile, immediato, cogliere e comprendere. Soprattutto perché Anna si lascia
anche rapire dall’incanto della danza, quando vede una ballerina volteggiare.
“Mi avevano impedito di danzare con le gambe, ma non avrebbero mai potuto
impedirmi di danzare con l’anima” scrive ancora. Anche questa consapevolezza,
Anna, custodisce gelosamente nel cuore. Ed è una bellissima consapevolezza. Non
solo ghiaccio, dunque. Non solo sofferenza. Ma anche la capacità di guardare
alla poesia che la vita può crearle intorno e che lei può vedere, sentire,
toccare, respirare. “Nonostante tutto”, proprio come lei avrebbe voluto essere.
Come lei può essere. Come lei è.
Questa consapevolezza, crescendo, potrà aiutarla a
vincere il rancore e ad addolcire l’amarezza dell’infanzia e della giovinezza
rubate dalla disabilità. Sciogliendo il cuore di ghiaccio che, oggi, Anna dice
di avere.
Tratto da Invisibili.corriere.it
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