Era da tempo che cresceva dentro di me il desiderio di
scriverne. Ma non trovavo la forza, e neppure le parole. Solo le
immagini, nitide e dolorose, dentro i miei occhi, quasi ogni giorno.
Oggi ne parlo, perché ho un buon motivo, almeno una notizia positiva che viene da Torino,
dove la polizia municipale ha fermato una intera famiglia di
sfruttatori di mendicanti invalidi, costretti a esporre le proprie
membra deformi in cambio di elemosina, il cui ricavato naturalmente
veniva loro interamente sottratto. Analoga operazione oggi a Milano,
con grande spiegamento di forze della polizia municipale, e conferenza
stampa dell’assessore Granelli e del comandante dei vigili Mastrangelo,
proprio mentre usciva nel blog il mio pezzo. Finalmente è un segnale
forte, anche se solo di carattere poliziesco, rispetto a un fenomeno
odioso e complesso, sul quale vorrei riflettere con voi, lettori di
“Invisibili”. La foto che campeggia sopra il titolo ci riguarda,
infatti. E’ un uomo, coperto di stracci, dai quali spunta un moncone di
braccio, accovacciato sul marciapiede, mentre verso di lui avanzano
passanti indaffarati e ben vestiti. Non sappiamo se lo degneranno di uno
sguardo. Forse no. Ma se lo faranno sarà per un istante, giusto il
tempo del ribrezzo. In un angolo della mente un pensiero, forse: “Che
schifo. Guarda come è ridotto. Non gli do neppure un centesimo, tanto è
sfruttato dai soliti impuniti”. E poi via, passando oltre in fretta.
Oppure in automobile, agli incroci. Quando un mendicante zoppo,
sciancato, a volte addirittura con le gambe spezzate e rovesciate in un
angolo innaturale (chi non li ha visti?), si avvicina al finestrino e
implora una moneta. Speriamo che venga subito il verde, lo ignoriamo, ci
dà fastidio, forse vorremmo che qualcuno intervenisse per toglierlo
dalla nostra vista. Ma intanto quella deformità, quella disabilità
esposta in modo violento e trucido ci assale, entra nella mente e scava.
Invalido e mendicante. Mendicante perché invalido. Una equazione
mentale subdola, triste, squallida, ma che fa presa sull’inconscio e
riduce la distanza fra questa aberrazione che nasce dalla miseria e
dalla turpitudine morale degli sfruttatori, e l’altro mondo della
disabilità, quello delle persone come me, come tutti coloro, e sono
tanti, che con le deformità del corpo, o con i deficit dei sensi, o
della mente, convivono da sempre, inseriti, più o meno bene, in questa
società.
Ho incrociato spesso, nel centro di Milano, a pochi metri dal Duomo,
mendicanti abbarbicati a una sgangherata sedia a rotelle. Rottami umani
su rottami materiali. Ho notato che mi guardavano con curiosità. Forse
si chiedevano come facessi io a vivere bene, dignitosamente, pur avendo
un handicap simile al loro. Ma neppure io sono riuscito a superare il
diaframma che separa i nostri mondi. Ho sentito crescere dentro di me
rabbia e tristezza, ma non ho fatto nulla di concreto per impedire che
questa esposizione indecente delle membra continuasse. Né come
giornalista, né come cittadino.
Chi sfrutta il corpo mutilato (spesso maltrattato apposta, con
persone ridotte in vera schiavitù) agisce proprio nella consapevolezza
di potersi muovere in questa terra di nessuno, ai confini della realtà.
Il danno per queste persone è evidente e irreparabile, anche dopo
l’arresto degli sfruttatori. Ma il danno complessivo all’immagine
sociale della disabilità è altrettanto disastroso. Si avalla l’idea,
inconscia, che una persona invalida debba e possa mendicare per vivere.
Debba e possa esporre il proprio corpo deforme o mutilato per ottenere
una mercede. E’ una metafora pericolosa e orrenda di quanto, in modo più
sottile, avviene quasi ogni giorno, ad altri livelli, in altre questue
sociali.
La verità è che di questi mendicanti, al massimo, si occupa la
polizia. E invece, in quanto persone con disabilità, dovrebbero essere
tolte dal marciapiede, assistite, curate, riabilitate, e rimesse in
condizione di vivere dignitosamente, qui nel nostro Paese o affidate ai
centri di riabilitazione e di cura dei paesi di origine, seguendo le
regole dell’Onu, ma anche le nostre umane regole di convivenza civile. I
loro nomi non li conosceremo mai. I loro volti resteranno sempre
impressi nella nostra memoria. La tratta degli invalidi è un’offesa a
tutte le persone con disabilità. Non lasciamo la loro sorte in mano
soltanto ai vigili urbani.
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