1 FEBBRAIO 2019 | di Simone
Fanti | @simfanti
Solo il 18% dei disabili è occupato in un lavoro rispetto al 58,7%
del resto della popolazione. Sta tutto in questi numeri il “fallimento” di una
legge nata con grandi obiettivi, tra le più avanzate in Europa, che, però, non
è stata in grado di attuare un cambiamento culturale tra gli imprenditori. La
legge 68/99 è diventata praticamente lettera morta, poco efficace, spesso
inapplicata forse perché non sono state comprese fino in fondo le sue
potenzialità, forse perché è più semplice “pagare le multe” piuttosto che
accettare la sfida di creare occupazione. Le norme ci sono, manca la cultura,
si diceva. Alcuni tentativi per avvicinare il mondo degli imprenditori a quello
dei disabili sono stati fatti, da ultimo l’apprezzabile lavoro svolto con il un canale dedicato al mondo della
disabilità sul social network principe per i professionisti Linkedin.
.
E anche Invisibili ha
deciso di insistere sul tema chiamando a collaborare Daniele Regolo, fondatore di Jobmetoo, società di consulenza e recruiting di
persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette, che stimolato
sul tema ha proposto un piano di azione per il superamento della legge 68. Una
provocazione? Anche, ma soprattutto tanta sostanza. Apriamo il dibattito.
5 PROPOSTE DI JOBMETOO
1) Studiare un percorso verso
la graduale abolizione dell’obbligo di assunzione delle persone con disabilità.
È fin troppo evidente che dal mondo delle imprese tale imposizione viene
recepita, e di conseguenza elaborata, con riluttanza, sfiducia, pessimismo. Le
imprese più virtuose, quelle che sono disposte ad assumere al di là
dell’obbligo, avvertono comunque un peso “morale” forte. Al contempo, il
candidato che entra in azienda con questi presupposti non può aspettarsi un
trattamento veramente alla pari degli altri dipendenti. Eliminare l’obbligo
significa rimodulare l’incontro tra azienda e candidato su una base diversa e
più moderna, soprattutto più equa. L’incontro deve avvenire esclusivamente
sulle competenze e sulla reale compatibilità tra condizione del lavoratore e
necessità dell’azienda. Il sistema dovrebbe diventare premiante: tanto più
l’Azienda assume persone con disabilità, tanto maggiori saranno gli incentivi e
le agevolazioni fiscali.
2) Rendere la normativa anti
discriminazione molto stringente. Deve inoltre essere riscritta rovesciando la
prospettiva attuale: nessun lavoratore è considerato da tutelare o proteggere –
in riferimento alla sua autodeterminazione – ma nessun lavoratore può essere
discriminato. Al contempo occorre istituire un fondo che consenta al lavoratore
discriminato di poter tutelare la propria posizione. Il tutto nei limiti
dell’”accomodamento ragionevole”, uno strumento estremamente avanzato che deve
essere maggiormente diffuso ed esteso.
3) Obbligatorietà di un
Disability manager a supporto delle Aziende private. Figura autonoma rispetto
agli altri manager, il Disability manager rappresenta lo strumento per
includere la disabilità nella cultura aziendale. Il vecchio processo, che
vedeva “il disabile che entra in azienda accompagnato da esperti, psicologi,
associazioni, tutor, interpreti…” deve evolvere in un nuovo processo: “il
disabile viene accolto in azienda, nella quale entra con le proprie gambe e
senza essere accompagnato (fin quando possibile)”. Il Disability manager è
colui che opera per creare le condizioni affinché il lavoratore disabile possa
agire nel pieno delle sue potenzialità, diventando una risorsa produttiva, e
parimenti aiuta l’Azienda di cui fa parte a capire e gestire la disabilità in
maniera naturale e senza traumi.
4) Creare un fondo ad hoc per
gli “Accomodamenti ragionevoli” ovvero per l’acquisto e il finanziamento di
strumenti, soluzioni, ausili e quanto sia necessario per consentire alla
persona con disabilità di esprimere il suo potenziale e le sue abilità nel
contesto aziendale. L’accomodamento ragionevole è stato Introdotto dalla
Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ripreso dalla
Direttiva 2000/78/CE e ridefinito in Italia dal D. Lgs. 151/15, rappresenta
l’anello mancante per mettere il lavoratore con disabilità nelle condizioni di
agire in condizioni di pari opportunità.
5) Valorizzare la rete e i
servizi territoriali. Il grande patrimonio rappresentato dalle Associazioni di
disabili, che posseggono tra l’altro un know how di alto valore (spesso non
adeguatamente noto), e dal mondo delle cooperative (canali ideali per gestire,
dal punto di vista lavorativo, le disabilità più complesse attraverso servizi
che forniscono alle aziende in outsourcing, come avviene oggi con ex Art. 14)
riceve impulso dalla presenza del Disability manager che, dalla sua posizione
privilegiata, conosce queste realtà e può supportarle valorizzandole al meglio,
nel segno di un legame sempre più forte tra Azienda e territorio di
riferimento.
Tratto da invisibili.corriere.it