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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

domenica 23 dicembre 2018


IL CONSIGLIO DIRETTIVO, I RAGAZZI CON LE RISPETTIVE FAMIGLIE, I SOCI, I VOLONTARI AUGURANO BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO A TUTTI COLORO CHE SONO VICINI ALL'ASSOCIAZIONE INHOLTRE.


domenica 2 dicembre 2018

IL MERCATINO DELLA SOLIDARIETA'


L'associazione di Volontariato InHoltre organizza una mostra mercato di oggetti di Natale realizzati dai ragazzi di InHoltre con la collaborazione dei volontari. La mostra mercato dal titolo "Il mercatino della solidarietà" ha come fine, oltre alla sensibilizzazione e al coinvolgimento del territorio sulle tematiche della disabilità, una raccolta fondi per finanziare i progetti dell'associazione. Saremo all'esterno del salone chiesa di Lavandara sabato 1 dicembre dalle ore 17.00 alle ore 19.00 e domenica 2 dicembre dalle ore 10.00 alle ore 13.00. 
VI ASPETTIAMO!!!!!

lunedì 26 novembre 2018

Mattarella paladino (quasi) solitario del giusto linguaggio


Sin da quando ascoltai alla radio il suo discorso in Parlamento in avvio di mandato, del presidente Sergio Mattarella mi colpì l’attenzione alle parole, il soppesarle con una pacatezza che oggi potrebbe rischiare di apparire grigia se non addirittura noiosa in un mondo mediatico di chiasso e di battute a effetto e che invece mi sembrò subito un provvidenziale rifugio, un conforto nel segno del rispetto. Parlò, il presidente, di persone con disabilità, e in quella preposizione, quel “con”, c’era tutta l’attenzione a un linguaggio che si evolve e che considera le persone in quanto esseri umani, prima della loro condizione. Locuzione affermata e sancita nella carta dei diritti stilata dall’Onu riguardo al mondo della disabilita. E’ un tema ricorrente, quello del linguaggio, che ci trova in prima linea sin dall’epoca del nostro amato e rimpianto Franco Bomprezzi (fra poco saranno quattro anni dalla sua scomparsa) che scrisse su questo blog un efficacissimo post per chiarezza e ironia, rivolto al nipote di Umberto Eco, destinatario di una delle celebri Bustine di Minerva, in cui il grande semiologo rifletteva sulle persone “diversamente abili”. Come dire, anche i più grandi uomini di cultura possono essere in ritardo su certi temi della società. Ancora una volta Mattarella è tornato a parlare di persone con disabilità in occasione dell’inserimento nell’enciclopedia Treccani di un lemma importante, paralimpico, entrato in questa grande famiglia lessicale fin troppo tardi ma certo spinto da un movimento che è emerso con grande forza e ha conquistato anche le platee mediatiche di tutto il mondo. Potere dello sport che resta il più grande veicolo di fratellanza in un mondo segnato da divisioni e contrapposizioni. “Le parole- ha detto il presidente – possono aiutare o creare un danno. La scelta è nostra. Basta fare un giro sul web per capire che ci sono parole che aiutano e costruiscono e parole che offendono e distruggono “. Ma al di la delle cattiverie e degli insulti che si moltiplicano sulla rete e hanno una valenza criminale, ci sono a nostro avviso parole apparentemente più innocue ma che denotano una mancanza di attenzione e in definitiva una buona dose di indifferenza. Ed è in questo terreno più grigio che bisogna agire. Senza crociate, beninteso, perché nessuno è senza macchia e in definitiva tutti noi siamo chiamati a una buona pratica che faccia crescere un movimento e tutta la società. Ma con convinzione. E’ un processo silenzioso che il presidente Mattarella ha dimostrato di capire in ogni circostanza. Per questo ci permettiamo di considerarlo nostro mentore e nostro alleato.
Tratto da Invisibili.corriere.it

venerdì 19 ottobre 2018

BREVE ANALISI DELLA LACRIMA DA TALENT

 di Antonio Giuseppe Malafarina

Non tutte le lacrime sono uguali. Oggi torno a scrivere di antropologia della disabilità. Un parolone, anzi due, per riflettere con linguaggio facile sull’effetto lacrima da reazione a quello che sulla disabilità passa in tv nei talent. Non sono un dottore della psiche. Mi limito a qualche pensiero che credo possa venire a tutti. In passato ho affrontato il tema delle emozioni da poltrona.
Era un pezzo sulla coerenza di chi guarda le esibizioni di certi partecipanti con disabilità ai talent, apprezza, si commuove, esulta e uscito dagli studi televisivi, allontanato dallo schermo e mollato il telefonino del televoto, riprende a condurre la sua vita di ordinario bistrattamento dei diritti delle persone disabili. Lontano dallo schermo, che ci avvicina a una storia ma ci tiene lontano quanto basta per lasciarla estranea da noi, parcheggiamo la macchina negli stalli riservati, sosteniamo gite scolastiche dove in carrozzina non si arriverà mai e osteggiamol’abbattimento delle barriere nel nostro condominio. E non puliamo il marciapiede dalle deiezioni del nostro cane. L’altra sera, guardando Tu sì que vales all’immancabile esibizione di un protagonista legato alla disabilità, senza sottilizzare troppo che fosse lì perché fra tanti che si esibiscono è naturale che alcuni siano disabili piuttosto che pensare (male) che fosse lì perché la disabilità tira, mi sono riproposto di non scriverne. E subito ho cambiato idea. Assistendo all'esibizione dei bravi Orchestra Magicamusica, gruppo musicale di persone con disabilità – ma non bisogna dimenticare che attorno a quelle persone ci sono anche amici, parenti, insegnanti scolastici e via dicendo -, hanno iniziato a scorrere rivoli di lacrime da differenti sorgenti: Belen Rodriguez, Iva Zanicchi, il massiccio Martìn Castrogiovanni, Gerry Scotti. Spontanea sorgiva è affiorata in me una serie di domande. Può una lacrima essere sincera in televisione? Può essere indotta, cioè non finta tuttavia provocata? Ma soprattutto: la lacrima deve per forza condurre all’esito che ci aspettiamo? Prima di un voto deve per forza preludere a un voto favorevole? E se sì, perché?
Le lacrime prima di un voto presagiscono una partecipazione narrativa che difficilmente porta ad altro che a un voto di condivisione di quell’esperienza, è un meccanismo naturale. Vale l’equazione pianto uguale voto favorevole alla prova. Ma perché piangiamo di fronte a una manifestazione dolorosa ma vincente della disabilità?
Non lo so, ma azzardo le ipotesi che mi sono venute in mente assistendo allo spettacolo.
Forse piangiamo per pietismo: quella disabilità è lontana da noi, ci sembra uno scarto di fronte al quale non siamo sappiamo fare altro che commiserare, è un naturale atto di ipocrisia figlio della nostra educazione. Piangiamo e sosteniamo la causa. Forse piangiamo per pietà: la compassione, nella sua accezione originale, spinge alla partecipazione, pertanto proviamo dispiacere per le persone coinvolte e sentiamo il bisogno di interagire. Il voto positivo diventa una maniera per dare una mano. Forse piangiamo per immedesimazione: indossiamo i panni di quella persona, oppure la eleviamo a nostro emblema, e nella sua capacità di reazione alle sventure ci sentiamo incoraggiati nelle nostre difficoltà quotidiane, così diverse ma così altrettanto insostenibili. In questo caso il sostegno a quella causa diventa materiale di conforto per noi stessiVotiamo a favore dell’altro come lo facessimo per incentivarci da soli. Forse, se siamo personaggi noti, piangiamo perché riconosciamo che l’esistenza è stata prodiga con noi e quindi ci sentiamo spinti all’altruismo di compensazione, e non che questo sia malvagio, col voto positivo che ne consegue. Oppure rivestiamo un ruolo e piangiamo perché dobbiamo farlo. Tanto quanto il ruolo ci obbliga a votare favorevolmente. Che sia amore, convenienza, senso civico, camuffato disprezzo o copertura del ruolo, non sappiamo cosa vogliano dire certe lacrime in televisione. E tantomeno possiamo attribuire un significato alle lacrime sparse ogni giorno di fronte agli altrui fatti della vita. Sappiamo solo che non sempre rappresentano ipocrisia, il male assoluto.
Tratto da invisibili.corriere.it

lunedì 17 settembre 2018


Di Antonio Giuseppe Malafarina


Ho provato a parlare con Dio, ma mi risulta irraggiungibile. Diversamente non so come potrei fare per accontentare quelli che dicono che tutto è possibile. Sono molti. Molte persone con disabilità. L’ultima, detta un po’ con altre parole, l’ho letta attribuita a Tae McKenzie, modella in sedia a rotelle con una grave forma di epilessia. Ha sfilato con Marian Avila, modella spagnola con sindrome di Down, alla Fashion Week di New York. Merito della stilista Talisha White e della sua idea di portare in passerella la diversità, con una linea concepita per esaltare l’emancipazione femminile.
Se Dio, nella sua onnipotenza, si intende di moda o non mi ha mai preso in considerazione perché sono scarso come ideatore di moda oppure perché non piaccio all’obiettivo. Potrebbe anche essere che all’orecchio non sia mai giunta la mia prece: da un ventennio cerco di fargli capire che le persone con disabilità hanno diritto a vestirsi alla moda. E, in questa conversazione, che io potessi offrirmi come vittima sacrificale per la passerella, diciamocelo, gliel’ho buttata lì.
Vent’anni non sono un giorno. Nella storia raccontata sul Corriere la stilista parla del valore della diversità e di qualcosa che comincia a muoversi. Gli stilisti prendono in considerazione le persone con disabilità. Non è una novità. Ne ho parlato più volte. Ci sono state sfilate persino a Milano, anche se appena dopo la chiusura della settimana della moda. Si è mossa gente come Tonino Urzì, una firma per cui basta il nome. Non basta? Ecco Tommy Hilfiger, con una linea accuratamente studiata per clienti disabili.
Le persone con disabilità sono clienti. Questo dovrebbe capire la moda. Va bene sfilare e mettersi in vetrina ma ci vuole uno scatto dell’industria. Costa, ahimè. Intanto dobbiamo accontentarci di avere modelle che sfilano. Modelle e modelli.
E qui l’investimento iniziale è ai limiti della sostenibilità: bisogna concedere più spazio a chi vuole sfilare con disabilità, non solo in carrozzina – che poi c’è il rischio che non si capisca che sia disabile e allora tu, stilista, che tornaconto hai avuto a farlo sfilare? -. Ci vuole lo stilista che ci creda. E tutto il mondo che c’è dietro. Le acque si muovono. Esistono bei modelli con disabilità. Ma finché saranno modelli con disabilità saranno modelli con quel con in più che dovrebbe passare inosservato. Forse un giorno sarà possibile. Capito Dio??

Tratto da: invisibili.corriere.it




QUATTORDICESIMA SERATA DI SOLIDARIETA'


domenica 8 luglio 2018

Sole, mare e 416 spiagge accessibili per tutti

di Alessandro Cannavò


L’estate e il mare sono nell’immaginario collettivo sinonimo di libertà. Andare in spiaggia è un rito condiviso delle vacanze. Proprio sul bagnasciuga si sperimenta il grado di sensibilità, di attenzione, di civiltà anche nei confronti delle persone con disabilità. Con 7.500 chilometri di coste, quanti luoghi in Italia saranno accessibili? , ci siamo chiesti. Con la pazienza e la tenacia che la contraddistinguono, la nostra Anna Gioria, utilizzando i riferimenti dell’associazione spiagge accessibili, ha contattato i presidi di ogni singola regione italiana e ha compilato una lista di lidi e bagni che sono frequentabili da tutti. Tra i gestori c’è chi dichiara una generica accessibilità, e c’è chi specifica i servizi offerti, come le sedie job per entrare in acqua o le passerelle agevolate. Il numero, 416, non è irrilevante e, pur primeggiando la riviera romagnola (sempre più avanti degli altri), i siti sono ben distribuiti in tutta Italia. Attenzione, ci rammenta Antonio Malafarina, grillo parlante di InVisibili: non bastano una sedia acquatica e una passerella per definire l’accessibilità. Certamente. Ma soprattutto, aggiungiamo noi, bisogna sperimentare quanto dichiarato. La nostra lista e’ dunque solo il primo passo di un’indagine e di una verifica che ha bisogno, ora che prende il via la stagione balneare, dell’aiuto degli utenti, cioè di voi lettori di InVisibili, con disabilita e non. Se è legittimo il sospetto che qualcuno della lista dichiari una realtà che poi di fatto non esiste (sui bagni per disabili degli esercizi pubblici con la scritta guasto ci sarebbe da fare un dossier) può essere altrettanto valida l’impressione che spesso si realizzino delle opere di accessibilità ma poi non si sappia comunicarle all’opinione pubblica. Quante migliorie non hanno trovato rispondenza dei potenziali utenti… Ed ecco che si profila il terzo dubbio. Quante persone o famiglie che convivono con la disabilità pensano che andare al mare sia effettivamente un diritto per cui lottare? A volte la discriminazione e’ innanzitutto nelle nostre teste. Ecco il salto culturale necessario: parlare non soltanto di bisogni primari ma anche di svago e di libertà. Perciò cominciamo dalla spiaggia e da questa lista. Da incrementare, da correggere, da smentire.
Scriveteci su Invisibili.corriere@gmail.com
Tratto da invisibili.corriere.it

giovedì 14 giugno 2018

Il diario di Anna alla scoperta di sè stessa e della forza della disabilità

Di Ornella sgroi

“Disabile non è sinonimo di stupido, di malato. Disabile è sinonimo di chi vuole andare oltre tutto. La disabilità non è un limite, è una risorsa e, come tale, deve essere trattata. Non lasciatevi ingannare dall’apparenza, mai”.
Questa frase la scrive Anna, a vent’anni, quando decide di raccontare la sua esperienza personale in un breve libro, “La disabilità non è un limite” (Europa Edizioni, 2016), che è più un diario per fermare le tappe più importanti di questa prima parte della sua vita. Dalla nascita prematura ai primi anni di università. Ha grinta, Anna. E la sua è la grinta della “guerriera”, come l’ha voluta la vita, accanendosi con le sue gambe e opponendosi ai suoi genitori che l’avevano fatta nascere “principessa”. Anna aveva solo sei mesi quando è nata, insieme al suo fratellino gemello, Giuseppe, che purtroppo non ce l’ha fatta. E il racconto della sua vita è un insieme di diagnosi errate, di sguardi eccessivi, interventi e riabilitazioni, incontri sbagliati e delusioni. Almeno fino a quando non è arrivata la scuola, anche per lei. Lo studio, più che altro. Con l’amore per l’italiano e la scrittura, i voti alti, la passione per il teatro, che l’hanno aiutata a venire fuori dal suo guscio, fatto anche di silenzi. “Più studiavo, più mi piaceva, il semplice fatto di riuscire in qualcosa mi faceva stare bene” – scrive.
Anna ha imparato presto che doveva lottare per affermare la propria identità al di là di quella imposta dal suo corpo e ha capito che doveva cercare i propri punti di forza, investire tutto su di essi. Già in quinta elementare sapeva che avrebbe voluto fare l’avvocato, l’indole e la risposta sempre pronta, pungente quando serviva, negli anni l’hanno accompagnata in questo progetto e oggi studia Giurisprudenza perché cerca “giustizia” contro chi l’ha fatta soffrire. C’è rabbia nelle parole di Anna. E desiderio di “vendetta”. Contro chi l’ha derisa o ingannata, i compagni di classe ad esempio, ripagati passando versioni sbagliate all’esame di maturità. Ma anche contro chi potrebbe ancora ferirla.
Scorrendo le sue pagine, che vogliono essere un messaggio di speranza e di incoraggiamento per chi condivide la sua stessa situazione, questo bisogno così dichiarato di vendicarsi – sono questi i termini che Anna usa nel suo diario – apre una breccia dentro quell’ombra nera, dolente e furiosa, che obnubila lo sguardo di una ragazza, incapace giustamente di comprendere e accettare il gioco scorretto che la vita le ha imposto di giocare. Un gioco, quello della disabilità, a cui nessun bambino, ragazzo, adulto vorrebbe mai giocare.
“Non ho più un cuore, non l’ho mai avuto” scrive, e quando lo scrive Anna ha appena vent’anni. “Non piango davanti a un mazzo di fiori, se muore qualcuno o se mi si dedicano belle parole. Non mi dispiaccio a fondo quando qualcuno sta male, perché penso al mio aver versato più lacrime che respiri in soli venti anni di vita. Sono un semplice pezzo di ghiaccio che custodisce nel cuore una sofferenza più grande di lei”.
Sì, c’è rabbia nelle parole di Anna. Una rabbia che è facile, immediato, cogliere e comprendere. Soprattutto perché Anna si lascia anche rapire dall’incanto della danza, quando vede una ballerina volteggiare. “Mi avevano impedito di danzare con le gambe, ma non avrebbero mai potuto impedirmi di danzare con l’anima” scrive ancora. Anche questa consapevolezza, Anna, custodisce gelosamente nel cuore. Ed è una bellissima consapevolezza. Non solo ghiaccio, dunque. Non solo sofferenza. Ma anche la capacità di guardare alla poesia che la vita può crearle intorno e che lei può vedere, sentire, toccare, respirare. “Nonostante tutto”, proprio come lei avrebbe voluto essere. Come lei può essere. Come lei è.
Questa consapevolezza, crescendo, potrà aiutarla a vincere il rancore e ad addolcire l’amarezza dell’infanzia e della giovinezza rubate dalla disabilità. Sciogliendo il cuore di ghiaccio che, oggi, Anna dice di avere.

Tratto da Invisibili.corriere.it

giovedì 24 maggio 2018

La storia di Arturo e di sua mamma (con la sclerosi multipla)


Di Simone Fanti
Marco, Giuseppe, Matteo, Arturo, sono loro i protagonisti della serata di premiazione della seconda edizione di #afiancodelcoraggio, il premio letterario ideato da Roche che si caratterizza per la prospettiva inedita: raccogliere storie di uomini – padri, mariti, compagni, figli, fratelli, amici, colleghi – che ogni giorno sostengono e accompagnano le donne in lotta contro la sclerosi multipla (SM). Malattia cronica che colpisce il sistema nervoso centrale, può causare l’interruzione dei segnali tra il cervello, il midollo spinale e i nervi ottici, portando a una vasta gamma di sintomi.
Per la cronaca ha vinto Marco Lupia. Il concorso, però, è rivolto ai maggiorenni e una mamma, Alessia, deciso di inviare comunque la lettera scritta da suo figlio. Gli organizzatori l’hanno premiato comunque con una menzione speciale. Ve la pubblichiamo con la lettera di accompagnamento,
Merita di essere letta

La lettera della madre
Salve, mi chiamo Alessia, ho 40 anni e da quasi cinque mi hanno diagnosticato la sclerosi multipla. Sono ragazza madre di un fantastico bambino di 9 anni e mezzo, che si prende cura di me, sia nel fisico che nello spirito. So che il concorso è per i maggiorenni, ma lui ha voluto scrivere qualcosa e vuole che ve lo spedisca, non vince, ma partecipa. Grazie e buon lavoro.


La lettera di Arturo
Ciao io sono Arturo un bambino di 9 anni e mezzo, e vivo con mia madre Alessia che ne ha 40 e ha la sclerosi multipla, e ho anche una zia, ma lei va come una schioppettata. Mamma si muove con la stampella, le cose sono un po’ più difficili, soprattutto ora che abbiamo avuto la perdita del nostro cane Sole. Mia madre è una tipa che della sua malattia non gliene frega una mazza, però gli dispiace che insieme non possiamo fare determinate cose, tipo giocare a pallone o fare due passi in città o in montagna, di conseguenza io sono l’ometto di casa. Però mi fa sempre un sacco di regali per tutte le feste, per esempio a San Valentino mi ha regalato una poesia, tutti mi dicono che sono fortunato, ma già io lo so, una mamma così non si può neanche sognare. lo riconosco che è in difficolta, quindi la aiuto sempre e di conseguenza sto sempre con lei. È triste avere una persona in famiglia che soffre di qualunque malattia, anche se non è grave. Comunque mia mamma “è perfetta”, almeno per me.


POESIA PER MAMMA
Mi piace di te
Che mi chiedi se voglio il tè.
Oppure mi piace la tua mente
Più che Intelligente,
Divertente
a volte assente.
E sei bella
Come una gazzella.
Sei un po’ pazza
Come una ragazza
Ma in tutti i casi ti vorrò bene
E ti finirò le mele.
Non tutto si può dire, e neanche tutto si può fare.
Ma in tutti i casi per me è la migliore mamma di tutta la galassia.

POESIA PER MAMMA
È tanto bello quando si è contenti
Che si forma un sorriso a trentadue denti
L’amicizia è armonia
Tutto si ritrova con una melodia
Infatti le emozioni
Si esprimono delle canzoni
Che vengono col cuore
Che son fatte con amore.
Tratto da Invisibili.corriere.it

lunedì 7 maggio 2018

Invalido a chi? Disabilità: le parole corrette

Basta! Proviamo a non usarli più? Diversamente abile, invalido, disabile: basta!
Le parole sono importanti. Di più, le parole mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare, il livello di attenzione verso i più deboli. Non è una esagerazione. Cambiamo il linguaggio e cambieremo il mondo. Ci sono parole da usare e non usare. E quelle da non usare non vanno usate. Hai voglia a dire: chiamami come vuoi, l’importante è che mi rispetti. No! Se mi chiami in maniera sbagliata mi manchi di rispetto. Se parliamo di disabilità, proviamo a usare termini corretti, rispettosi? Parole da usare e non usare. Concetti da esprimere o da reprimere. Semplicemente: persona con disabilità. L’attenzione sta lì, sulla persona. La sua condizione, se proprio serve esprimerla, viene dopo. La persona (il bambino, la ragazza, l’atleta ecc.) al primo posto. Questa è una delle indicazioni fondamentali che giungono dalla “Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità”. Non: diversamente abile, disabile, handicappato (ma lo usa ancora qualcuno?), portatore di handicap (come se avesse quel fardello, l’handicap, da portarsi appresso: grazie a DM, la rivista della Uildm, per la straordinaria vignetta di Staino, che fra l’altro ha una disabilità, essendo cieco), invalido. Già, invalido: quante volte, troppe, sentiamo questa parola ultimamente. Letteralmente una persona che non è valida. Il 10 per cento della popolazione mondiale (stima per difetto) ha una disabilità, quindi non è valido. “Diversamente abile” o “diversabile” hanno avuto forse una valenza anni fa, ora non più. “L’errore è di principio: nella dizione ‘diversamente abili’, infatti, viene proposto come prioritario il concetto di ‘diversità’… La disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita. Ogni individuo è diverso dall’altro senza che per questo venga meno il valore, implicita una inferiorità”.S e si parla di sport, atleti paralimpici è consigliabile, anche riferito a quegli sport che non sono presenti alla Paralimpiade. Disabile (e tutti i termini che indicano il tipo di disabilità: paraplegico, tetraplegico, cieco, amputato, non vedente) non va usato come sostantivo: si confonde una parte con il tutto e così si riduce, offende, umilia una persona. Utilizzabile, invece, “disabili” al plurale: si indica un gruppo, come gli scolari o i politici. A imee Mullins, una delle più grandi sprinter paralimpiche, amputata alle gambe come Pistorius, un giorno scrisse un articolo per l’edizione italiana di Wired, dove era in copertina, e trasferì la riflessione in un bellissimo discorso. Prima di scrivere aprì il dizionario dei sinonimi alla parola disabile per vedere cosa ci ha trovato. “Sembrava che io non avessi nulla di positivo”. Alcuni termini sembrano obsoleti e invece sono ancora molto usati: per indicare una persona con paralisi cerebrale o cerebrolesa si dice spastico, che fra l’altro è diventato termine offensivo; come ritardato per dire di qualcuno che ha una disabilità intellettiva e relazionale. C’è chi scambia malattia e disabilità, come se i termini fossero interscambiabili: la disabilità è una condizione che può essere causata da malattia, ma non è una malattia. Attenzione a credere siano discorsi banali: per un bambino la malattia si attacca, se sto vicino a una persona cieca prendo la cecità. Usare “afflitto da”, “sofferente per” parlando di una persona con disabilità la pone come una “vittima”, triste e da aiutare: può esserlo, come per tutti, ma non è implicito che lo sia.
Il dibattito sul linguaggio è vivo e appassionante. Quello che diciamo ora fra qualche anno sarà cambiato. Il mondo paralimpico è stato importante. Prima che la rete facesse circolare idee, il maggior numero di persone con disabilità presenti nello stesso momento nello stesso luogo era ai Giochi Paralimpici. Nel tempo il linguaggio intorno alla disabilità è cambiato. In meglio. Anche grazie allo sport. Dire a una persona cieca “ci vediamo dopo? Hai visto?” o a una in carrozzina “fai una corsa qui” è assolutamente corretto, anzi si è invitati a farlo: non modificare il discorso se si parla con o è presente una persona con disabilità, sarebbe discriminatorio. Un segno evidente di disabilità è la carrozzina (non “carrozzella”, che è trainata dai cavalli). La carrozzina è un mezzo di mobilità, liberazione, indipendenza: aiuta, non limita. Per questo è da evitare “confinato, relegato in carrozzina”. Meglio, “usa una carrozzina”. Si potrebbe continuare, ma sono stato già troppo lungo. Il concetto fondamentale è quello dell’inizio: il focus è sulla persona. Essere “politicamente corretti” nel linguaggio aiuta ad avere rispetto. Non bisogna vergognarsene.
Tratto da invisibili.corriere.it

mercoledì 18 aprile 2018


“Quel cane non può entrare”.
 Un cieco cacciato dal liceo
La denuncia di un ragazzo di Alghero: “Umiliato dal vicepreside”. Lui si difende: ho detto che i peli creavano allergie agli altri alunni

Gabriele Pittalis era andato al liceo scientifico di Alghero per informarsi su alcuni corsi di informatica. Il suo cane guida, Pasta, gli permette di spostarsi ovunque: «I suoi occhi sono i miei», dice il 34enne
L’unica fortuna, dice Gabriele, è che in quel momento nessuno studente ha assistito alla scena: «Altrimenti sarebbe stata davvero la lezione più diseducativa che si potesse immaginare». E di certo il vicepreside del liceo scientifico di Alghero non potrà vantarsi di aver dato ai suoi ragazzi un gran bell’esempio.  
Tutto succede sabato mattina: Gabriele Pittalis, un trentaquattrenne che ha perso la vista quando era ancora bambino, si è presentato a scuola per sapere se fosse attivo un corso d’informatica per disabili. «Ero con il mio cane, si chiama Pasta ed è la mia guida per tutti gli spostamenti. I suoi occhi sono i miei, in tutto quello che faccio posso fidarmi solo di lei». Ma a un certo punto all’ingresso della scuola si sono sentite delle urla: «Era la voce del vicepreside, sembrava una furia - racconta Franco Santoro, anche lui cieco, che al liceo scientifico fa il centralinista - Gabriele parlava con me, mi stava chiedendo qualche informazione. All’improvviso siamo stati interrotti dalle urla. Il vicepreside ci ha imposto di portare il cane immediatamente fuori». Sì, sembra assurdo, ma è successo davvero: «Mi ha detto che i peli del cane possono provocare allergie agli studenti. Pasta è sottoposta a continui controlli ed è dotata di un tesserino sanitario. Può entrare ovunque, tranne che in quella scuola. Chi fa del male al mio labrador è come se lo facesse a me, anzi è persino più grave». 

Solidarietà dal sindaco  
Ad Alghero c’è un regolamento comunale che vieta l’ingresso di cani e gatti negli istituti scolastici. Ma per il cane-guida di un cieco, è facile da comprendere, quel divieto non può valere. Eppure, il vicepreside della scuola non ha voluto sentire ragioni. Peggio ancora, non ha saputo cogliere la gravità di quelle parole rivolte a Gabriele. «È stata l’umiliazione più grande che abbia mai subito, per di più nella mia città. Peggio ancora, in una scuola, dove la sensibilità e il rispetto verso le persone disabili e quelle meno fortunate dovrebbe essere una lezione da seguire a memoria. Gli insegnanti, e ancor di più il vicepreside, dovrebbero lanciare messaggi educativi ai ragazzi. Invece è stata scritta una brutta pagina di intolleranza».  
Gli ospedali italiani fanno entrare i cani in corsia e il ministero della Salute promuove la pet therapy per alleviare le cure e rendere la degenza dei pazienti un po’ meno dolorosa. Ma nella scuola di Alghero un cane fa ancora paura. Gabriele Pittalis ha ricevuto subito la solidarietà del sindaco e ora che è scoppiato il caso il vice preside Pietro Sanna si giustifica così: «Ho solo detto di spostarsi dall’androne, dove passano i ragazzi. Non sono un insensibile».  

Lettera al ministero  
Il caso, comunque, non è chiuso, perché il centralinista della scuola, che è amico di Gabriele ma anche presidente della sezione di Sassari dell’Unione italiana ciechi, ha già scritto al Provveditorato agli studi, al ministro dell’Istruzione e alla Regione. «Non si possono accettare atti di sopraffazione nei confronti di una persona che non ha la fortuna di avere la vista». «Impedirmi di stare in un luogo pubblico col cane - dice Gabriele - è come rubare la stampella a una persona senza una gamba. Chi avrebbe il coraggio di farlo?». 

NICOLA PINNA
ALGHERO (SASSARI)
Tratto da www.La Stampa.it

venerdì 6 aprile 2018


Bimbo epilettico, la classe lo aiuta:
 a ognuno un ruolo per le emergenze

Pietro (nome di fantasia) ha 9 anni ed è epilettico: i compagni hanno deciso di aiutarlo dandosi dei compiti. Chi si occupa dei farmaci, chi va a chiamare i bidelli e le maestre



La terza elementare di una scuola di Riccione. Pietro (il nome è di fantasia) è un bimbo di nove anni, biondo, estroverso e con un tratto speciale: l’epilessia, che bussa alla sua porta quando meno se lo aspetta. Come quella mattina di novembre, quando in classe un attacco epilettico gli ha provocato una serie di convulsioni, una scossa improvvisa lungo tutto il corpo e gli ha fatto perdere conoscenza. La folle corsa in ospedale e gli esami per capirne di più, poi quella diagnosi: «Anomalie epilettiformi interessanti». Pietro resta alcune settimane in ospedale, e al suo rientro c’è una sorpresa ad attenderlo: sulla parete della classe trova il cartello: «Incarichi di emergenza». Il rosso, il verde, l’arancio e il blu. Un foglio scritto a pennarello dai compagni di classe per prepararsi ad affrontare i suoi attacchi di epilessia, tutti insieme, come una vera famiglia.
Ognuno, nelle «situazioni di emergenza» di Pietro, ha il suo ruolo: Lia corre a prendere il farmaco nel secondo cassetto, Tommaso va a chiamare i bidelli, Leonardo e Giordano chiamano un insegnante nelle classi vicine, Giulia prende il cuscino del bambino, Gaia il cellulare dalla borsa della maestra per chiamare a casa e Diana sta «semplicemente» vicina alla maestra. Ci sono anche i sostituti, che aiutano l’intera classe a muoversi nel verso giusto e a bloccare in fretta le crisi del compagno.
Barbara e Denis, i genitori di Pietro, raccontano con le lacrime agli occhi al Corriere della Sera di come venti bambini si siano mobilitati per il piccolo compagno: «Trovarsi ad affrontare a nove anni attacchi così potenti è difficile. Quando all’improvviso scoppiano le crisi di epilessia, mio figlio non è più lo stesso: si irrigidisce, gli si capovolgono gli occhi, perde saliva dalla bocca. Entro cinque minuti bisogna bloccare la crisi, e lo si può fare solo collaborando tutti insieme. I compagni di classe di mio figlio gli hanno fatto una sorpresa incredibile. Lo stanno aiutando ad accettare la sua situazione. E sono pronti a salvarlo». I genitori di Pietro hanno scoperto il cartello durante la consegna delle pagelle. L’hanno visto appeso a una parete e trattenendo tutta la loro emozione hanno chiesto informazioni a Elena Cecchini, la maestra di italiano della 3D della «Annyka Brandi» di Riccione, artefice di una mobilitazione dal cuore grande.«L’insegnante di mio figlio - spiega mamma Barbara - ha parlato ai bambini, spiegando loro cosa sia l’epilessia. Ha detto che non si può arginare il problema, ma lo si può affrontare insieme, ognuno con un compito da svolgere e la propria missione da vincere». Ne parla in un post su Facebook, che in poche ore è diventato virale, strappando più di diciassettemila like e undicimila condivisioni. «Questi ragazzi stanno dando prova di un altruismo immenso - conclude la mamma -. Un domani non esiteranno a dare una mano a chi incontreranno in difficoltà lungo la loro strada. È l’esempio che la scuola è davvero una palestra di vita». E che si può essere eroi. Anche a nove anni.
Tratto da corriere.it

lunedì 2 aprile 2018


Motta San Giovanni, la fontana Alecce e l’Antiquarium si colorano di blu per la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo
1 aprile 2018 17:00 | Danilo Loria

“Lunedì 2 aprile, in occasione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, la fontana Pasquale Alecce a Motta e l’Antiquarium a Lazzaro si illumineranno di blu per testimoniare la vicinanza della comunità mottese alle persone con autismo e alle loro famiglie”. E’ quanto dichiara Carmelita Laganà, assessore con delega alle politiche della famiglia, annunciando l’iniziativa che prevede anche il coinvolgimento dell’Istituto Scolastico Comprensivo di Motta San Giovanni e della “Fondazione Marino per l’Autismo Onlus”. “Il blu – aggiunge l’assessore – è il colore scelto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché ben si associa al senso di sicurezza, di calma e di equilibrio nella sfera emotiva. Oltre ad illuminare due siti molto importanti per la comunità mottese perché rappresentano luoghi di aggregazione, cultura, arte, tradizione e storia, esporremo uno striscione per tutto il periodo della campagna di sensibilizzazione e, grazie alla sensibilità della dirigente scolastica Teresa Marino, con la scuola organizzeremo un incontro per coinvolgere il corpo docente, gli studenti e le loro famiglie”. “Grazie ai volontari della Fondazione Marino – continua Carmelita Laganà – che ringrazio per quanto hanno già fatto in questi anni sacrificando le proprie vite a favore degli altri, cercheremo di trasmettere un messaggio importante per contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone con sindrome dello spettro autistico e delle loro famiglie, invitando a sostenere la ricerca scientifica”. “Ringrazio il sindaco Giovanni Verduci – conclude quindi l’assessore Laganà- per la sensibilità dimostrata e l’intero Consiglio comunale che ha fatto propria questa iniziativa impegnandosi a divulgare questo messaggio per una maggiore consapevolezza dell’autismo”.


Tratto da stettoweb.com

domenica 1 aprile 2018

AUGURI PER LA SANTA PASQUA



Domenica di Pasqua, domenica di risurrezione. La vita molte volte ci pone nella condizione di doverci rialzare, risollevarci, trovare, nella croce, quella forza che ci consenta di avere un appiglio per riprendere la nostra quotidianità nonostante la caduta.
Operiamo in un mondo dove la sofferenza e, a volte, l’emarginazione sono di casa. Sono anni che accompagniamo, con la disponibilità, l’affetto, l’amicizia, le famiglie della nostra associazione che vivono la disabilità. Siamo compagni di viaggio, insieme siamo cresciuti, i ragazzi sono diventati adulti, noi un pochino di più. Alcuni di loro erano piccoli, 13 anni fa, quando li abbiamo conosciuti.
Tante sono state le persone che hanno percorso un pezzo di strada assieme a noi, che hanno donato un po’ del loro tempo libero ai ragazzi e alle loro famiglie ormai comunemente chiamati amici. Sono numerose le persone che sentono che ormai la nostra associazione è parte della loro vita, è sinonimo di solidarietà, di vicinanza, di affetto.
Esiste solo una parola che racchiude tutti i sentimenti che nutriamo verso chi ha donato anche solo un momento della loro vita ad InHoltre e che ci rende orgogliosi di dire ad alta voce GRAZIE! Grazie a tutti, alle Istituzioni, alle parrocchie, agli operatori commerciali, alle famiglie, alla gente comune. Se InHoltre esiste è grazie a tutti voi. 
Un grazie ed un augurio di buon tutto a Christian il nostro autista che per tanto tempo è stato al nostro fianco.
Approfittiamo di questa occasione per inviare a tutti voi i nostri più sinceri e affettuosi auguri per la Santa Pasqua.

COMUNICATO RINNOVO CONSIGLIO DIRETTIVO

Il 20 di gennaio 2018 presso la sede dell’associazione di volontariato InHoltre si è svolta la prima riunione del nuovo consiglio direttivo eletto durante l’assemblea dei soci del 13 gennaio 2018. Le cariche sono state ripartite nel seguente modo:

CONSIGLIO DIRETTIVO
Irto Pasquale PRESIDENTE 
Follaro Anna Maria VICE PRESIDENTE
Campolo Pasquale SEGRETARIO
Latella Pasquale TESORIERE
Cuzzucoli Vincenzo CONSIGLIERE
Latella Demetrio CONSIGLIERE 
Legato Maria Carmela CONSIGLIERE.

REVISORI DEI CONTI
Azzarà Elena PRESIDENTE
Pangallo Maria COMPONENTE
Latella Carmela COMPONENTE

Da oltre un decennio, InHoltre si occupa di integrazione, di inclusione delle persone con disabilità. Si occupa di volontariato, un meraviglioso mondo che coinvolge uomini e donne di tutte le età ed estrazione sociale.
La disabilità è una condizione che coinvolge tante persone del nostro territorio. Parecchie famiglie quotidianamente si confrontano con le difficoltà di una normalità che non è la stessa di molte altre. InHoltre le ha fatte incontrare ed è diventata per loro un punto di riferimento. Un nuovo traguardo potrebbe essere quello di tentare di coinvolgere anche le famiglie che ancora non partecipano, per vari motivi, alle nostre attività.
Tanti volontari si sono succeduti nella storia dell’associazione InHoltre, numerosi giovani sono cresciuti e si sono formati alla luce di un sorriso, una carezza, un gesto che i nostri ragazzi donano a chi si avvicina a loro. Tante persone giovani, e anche meno giovani, i cosiddetti "grandi" per la loro disponibilità, ancora continuano ad offrire una parte del loro tempo libero. A tutti loro, con il cuore pieno di gioia possiamo dire GRAZIE!
Abbiamo sempre bisogno di persone che vogliano condividere con noi questa meravigliosa avventura. Chiunque volesse percorrere un pezzo di strada insieme a noi nel mondo del volontariato non esiti a contattarci. Saremo felicissimi di accoglierli ed essere i loro compagni di viaggio.

Pasquale Irto