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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

lunedì 7 maggio 2018

Invalido a chi? Disabilità: le parole corrette

Basta! Proviamo a non usarli più? Diversamente abile, invalido, disabile: basta!
Le parole sono importanti. Di più, le parole mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare, il livello di attenzione verso i più deboli. Non è una esagerazione. Cambiamo il linguaggio e cambieremo il mondo. Ci sono parole da usare e non usare. E quelle da non usare non vanno usate. Hai voglia a dire: chiamami come vuoi, l’importante è che mi rispetti. No! Se mi chiami in maniera sbagliata mi manchi di rispetto. Se parliamo di disabilità, proviamo a usare termini corretti, rispettosi? Parole da usare e non usare. Concetti da esprimere o da reprimere. Semplicemente: persona con disabilità. L’attenzione sta lì, sulla persona. La sua condizione, se proprio serve esprimerla, viene dopo. La persona (il bambino, la ragazza, l’atleta ecc.) al primo posto. Questa è una delle indicazioni fondamentali che giungono dalla “Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità”. Non: diversamente abile, disabile, handicappato (ma lo usa ancora qualcuno?), portatore di handicap (come se avesse quel fardello, l’handicap, da portarsi appresso: grazie a DM, la rivista della Uildm, per la straordinaria vignetta di Staino, che fra l’altro ha una disabilità, essendo cieco), invalido. Già, invalido: quante volte, troppe, sentiamo questa parola ultimamente. Letteralmente una persona che non è valida. Il 10 per cento della popolazione mondiale (stima per difetto) ha una disabilità, quindi non è valido. “Diversamente abile” o “diversabile” hanno avuto forse una valenza anni fa, ora non più. “L’errore è di principio: nella dizione ‘diversamente abili’, infatti, viene proposto come prioritario il concetto di ‘diversità’… La disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita. Ogni individuo è diverso dall’altro senza che per questo venga meno il valore, implicita una inferiorità”.S e si parla di sport, atleti paralimpici è consigliabile, anche riferito a quegli sport che non sono presenti alla Paralimpiade. Disabile (e tutti i termini che indicano il tipo di disabilità: paraplegico, tetraplegico, cieco, amputato, non vedente) non va usato come sostantivo: si confonde una parte con il tutto e così si riduce, offende, umilia una persona. Utilizzabile, invece, “disabili” al plurale: si indica un gruppo, come gli scolari o i politici. A imee Mullins, una delle più grandi sprinter paralimpiche, amputata alle gambe come Pistorius, un giorno scrisse un articolo per l’edizione italiana di Wired, dove era in copertina, e trasferì la riflessione in un bellissimo discorso. Prima di scrivere aprì il dizionario dei sinonimi alla parola disabile per vedere cosa ci ha trovato. “Sembrava che io non avessi nulla di positivo”. Alcuni termini sembrano obsoleti e invece sono ancora molto usati: per indicare una persona con paralisi cerebrale o cerebrolesa si dice spastico, che fra l’altro è diventato termine offensivo; come ritardato per dire di qualcuno che ha una disabilità intellettiva e relazionale. C’è chi scambia malattia e disabilità, come se i termini fossero interscambiabili: la disabilità è una condizione che può essere causata da malattia, ma non è una malattia. Attenzione a credere siano discorsi banali: per un bambino la malattia si attacca, se sto vicino a una persona cieca prendo la cecità. Usare “afflitto da”, “sofferente per” parlando di una persona con disabilità la pone come una “vittima”, triste e da aiutare: può esserlo, come per tutti, ma non è implicito che lo sia.
Il dibattito sul linguaggio è vivo e appassionante. Quello che diciamo ora fra qualche anno sarà cambiato. Il mondo paralimpico è stato importante. Prima che la rete facesse circolare idee, il maggior numero di persone con disabilità presenti nello stesso momento nello stesso luogo era ai Giochi Paralimpici. Nel tempo il linguaggio intorno alla disabilità è cambiato. In meglio. Anche grazie allo sport. Dire a una persona cieca “ci vediamo dopo? Hai visto?” o a una in carrozzina “fai una corsa qui” è assolutamente corretto, anzi si è invitati a farlo: non modificare il discorso se si parla con o è presente una persona con disabilità, sarebbe discriminatorio. Un segno evidente di disabilità è la carrozzina (non “carrozzella”, che è trainata dai cavalli). La carrozzina è un mezzo di mobilità, liberazione, indipendenza: aiuta, non limita. Per questo è da evitare “confinato, relegato in carrozzina”. Meglio, “usa una carrozzina”. Si potrebbe continuare, ma sono stato già troppo lungo. Il concetto fondamentale è quello dell’inizio: il focus è sulla persona. Essere “politicamente corretti” nel linguaggio aiuta ad avere rispetto. Non bisogna vergognarsene.
Tratto da invisibili.corriere.it

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