La porta della monumentale biblioteca si apre
solennemente. Un ragazzo avanza mentre decine di libri volano magicamente
nell’aria e sembrano brillare. E mentre cammina il giovane spiega che il 21
Marzo è la Giornata Mondiale della Poesia: «Celebriamo l’arte che trasforma i
sogni in parole e le parole in sogni», dice avvolto da un’aura che richiama
vagamente le atmosfere di Harry Potter. Un libro vola via dalle sue mani. E di
colpo, la scena cambia.
Appare una foresta vista dall’alto, gli
alberi di un verde chiaro e brillante. Tra l’intrico di tronchi sottili
serpeggia una fila di persone in mantellina gialla con cappuccio: elfi del
ventunesimo secolo. Avanzano rapìti da quella bellezza viva che restituisce
respiro a respiro. Una ragazza bionda spiega che il 21 Marzo è anche La Giornata
Internazionale delle Foreste: «Celebriamo – illustra – tutti i tipi di
alberi e boschi che ospitano tante meravigliose forme di vita».
Cambia ancora scena e appaiono giovani donne
che danzano in cerchio accanto a un falò. La ragazza al centro del cerchio
spiega che il 21 Marzo è anche la Giornata del Nowruz (un’antica
celebrazione comune a molte nazioni mediorientali e dell’est europeo che segna
il risveglio della terra e che si celebra proprio per l’equinozio di Primavera ndr). «Celebriamo i valori di pace e solidarietà fra le
generazioni e le famiglie», rivela.
E di colpo la scena cambia ancora. Per
l’ultima volta.
Balli, colori e allegria sono sostituiti da
un ambiente grigio, semibuio, solitario, duro. Il silenzio sospende il fiato.
Sullo sfondo, a sinistra, solo un cono di luce illumina dall’alto metà di una
sagoma umana. È un uomo dal viso asciutto e lo sguardo penetrante e senza
rimedio. Un colpo di tacco dà il via a un messaggio doveroso e sofferto: «il 21 Marzo è anche la Giornata mondiale sulla sindrome di Down.
Purtroppo, però, non abbiamo tanti motivi per festeggiare».
Segue una manciata di
fotogrammi in cui gli altri tre protagonisti spiegano a turno: «Quando tutti noi, e non solo alcuni di noi, avremo più
opportunità a scuola, nel lavoro, nella vita sociale, solo allora avremo davvero dei motivi per festeggiare». E poi il silenzio sui loro primi piani, l’espressione
del viso seria, preoccupata.
Un pugno nello stomaco, l’attesa spasmodica
di un‘altra sorpresa, come se dietro le quinte di quel palcoscenico dovesse
ancora accadere qualcosa, come se dovesse ancora rivelarsi un altro finale. In
fondo, la denuncia è stata fatta, il messaggio è stato forte e chiaro.
Coraggio, ancora un colpo di scena… E poi i protagonisti hanno tutti la
sindrome di Down, il video non può finire così! E invece sì, finisce lì. In una
condizione irrimediabile dove non c’è posto per altri concetti, per altre
parole.
È così, senza facce simpatiche e senza sketch
a effetto che quest’anno Coordown celebra la Giornata
Mondiale della Sindrome di Down, includendo nella sua le altre tre Giornate
Mondiali che l’Onu celebra il 21 Marzo. Il video della campagna “Reasons
To Celebrate”, per la regia dell’ungherese Rudolf Péter Kiss è
basato sulla potenza della fotografia, sulla bellezza che non nega il dolore e
lo rende “fruibile” perché solo l’arte può veicolarlo. La campagna è nata
dalla collaborazione delle agenzie FCB Mexico e SMALL New York e
prodotta da Switzerland’s GOSH* a Budapest. I quattro
magnifici attori provengono da quattro Paesi diversi: Ruben dalla Gran Bretagna, Lauriane dalla Svizzera, Arjona dall’Albania e Davide dall’Italia. Anche
quest’anno la campagna internazionale è stata realizzata insieme a DSi – Down Syndrome International con il contributo di Down Syndrome Australia, Down’s Syndrome Association
(UK), Down Syndrome Albania Foundation e
le associazioni svizzere Art21 Association Romande Trisomie 21 e
Progetto Avventuno. Non c’è anno in cui il CoorDown (Coordinamento
nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down) non abbia proposto campagne scomode: dalla lettera del bambino non
ancora nato alla futura mamma, alle campagne di
autonomia, fino alla vita di coppia e al rifiuto di definire “speciali” i bisogni semplicemente umani.
Che sono quelli di tutti, qui ripresi attraverso la Poesia, la salvaguardia
delle Foreste, il Nowruz: opportunità di studio, di lavoro, di vita
sociale. Fin qui, le persone con la sindrome di Down hanno guadagnato posizioni grazie al lavoro incessante delle
famiglie, a un associazionismo di valore e a una propaganda coraggiosa. Ma
oltre, nella relazione con mondo, è il mondo che manca, che
le lascia indietro. Questo video è un’avanguardia preziosa che si porta dietro un esercito di persone
disabili fin troppo frammentato. E su questa frammentazione interna
dovremmo riflettere. “Non lasciate indietro nessuno”, dice il messaggio. A
chi è rivolto? Ai Paesi, alle istituzioni certamente. E a ciascuno di noi. «L’inclusione non deve dipendere dalle competenze del singolo, ma
è un processo che coinvolge tutti» commenta su Facebook Martina
Fuga, vicepresidente di Pianeta Down e responsabile della comunicazione di
CoorDown. È un monito, un grido corale immenso che va oltre il “bisogno”
di opportunità; il grido vuol dire “ho diritto pieno” alle
opportunità.«Se è vero che c’è una possibilità di imparare per tutti, –
continua Fuga – che c’è un’autonomia possibile per tutti, che c’è una mansione
lavorativa per ognuno, allora il punto non sono le abilità,
il punto non è quanto io sia brava ad adattarmi al mondo, ma quanto il mondo mi
fa spazio e mi viene incontro. Il punto sono le opportunità che
devono essere a misura di tutti, affinché tutti trovino il loro posto nel
mondo». È il concetto di Progettazione Universale su cui
ruota la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità,
un’utopia per alcuni, una rivoluzione scomoda in realtà, perché sposta le
nostre abitudini. È una grande novità che fiorisce nel pensiero contemporaneo
ma che nella nostra società ha l’effetto di un sassolino nella scarpa. Per
pigrizia, per un’ignoranza che non è più scusabile, nient’altro che questo. Paradossalmente, nella società odierna, evoluta ma cinica, la
Progettazione Universale è diventata la più grande barriera da abbattere; per
far finta di cambiare per non cambiare nulla; per stare più comodi relegando la vita delle
persone disabili in meravigliosi giardini, quando va bene, con risposte
speciali a bisogni speciali. «Alla fine dei video siete
tristi? Ebbene, vi do una notizia, venire sbeffeggiati sui social
o esclusi nella vita è triste! – chiosa Martina Fuga – Se volete i
sorrisi andate a guardare i bambini e le mamme che fanno il karaoke, o bambini
e per fortuna qualche ragazzo che cantano i Queen a squarciagola, ma non
fermiamoci lì, ricordiamoci che con quei video non cambieremo una virgola. Lì
stiamo solo dicendo che siamo orgogliosi di chi siamo, che è vero, ma non
stiamo chiedendo nulla. Alla fine del video avete
ricevuto un pugno nello stomaco? Bene, era quello che volevamo. Volevamo farvi riflettere e chiedervi di farci un po’ di spazio
vicino a voi. Alziamo la voce, chiediamo rispetto».
Rispetto. È questo il punto di non ritorno
Tratto da invisibili.corriere.it
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