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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

sabato 2 giugno 2012

La madre di una disabile scrive

MIA FIGLIA  SI CHIAMA CLAUDIA, 
HA 39 ANNI E LA SINDROME DI RETT. 

Abbiamo cercato  di offrirle il meglio, abbiamo, con le poche informazioni che si potevano avere 39 anni fa cercato soluzioni e cure che potessero  offrirle  opportunità  di riabilitazione  e un futuro migliore, eravamo soli, perché la disabilità oltre gli ostacoli burocratici, medici, organizzativi famigliari porta anche alla solitudine, gli amici si allontanano seguiti spesso anche dai parenti, ma siamo comunque riusciti a rimanere famiglia cercando di offrire ai nostri figli oltre all’amore  incondizionato  la consapevolezza di essere tutti allo stesso modo amati e seguiti. Ho dedicato la mia vita all’assistenza di Claudia quando abbiamo capito che per lei non potevamo fare altro che amarla e farla stare al meglio, cullata tra le braccia e le attenzioni di tutti noi. Quando gli altri figli sono diventati adulti è diventata il centro delle priorità per ognuno di noi, se sta bene lei stiamo bene tutti. Non abbiamo mai  preteso né lussi, né privilegi,abbiamo avuto una vita sociale limitata ma questo non ci ha impedito di rimanere nel contesto sociale, non ci spaventano le difficoltà e ne abbiamo affrontate in silenzio molte. Claudia ama la sua casa e qui deve poter rimanere anche quando noi genitori non ci saremo più, non dovrà essere ricoverata in istituto, perché anche fosse il migliore del mondo non riuscirebbe a garantirle tutte le attenzioni a cui lei è abituata e sarebbe una lenta agonia. Perché una persona con disabilità cognitive deve essere allontanata dalla propria casa quando i genitori non ci sono più? Perché  non si rispettano le volontà dei genitori, e sono molti, e non si cerca di trovare un accordo che garantisca la permanenza al domicilio della persona con disabilità  anche dopo che questi genitori com’è naturale nel percorso di ogni  vita, non ci saranno più? La sorella di Claudia, che desidera prendersene cura ha il diritto però di continuare a vivere la sua vita lavorativa  e a non far mancare ai suoi figli e al proprio marito le attenzioni che offre loro ora, per questo io chiedo, anzi pretendo che sia finalmente messa in atto  correttamente  la legge162 /98 che riconosce alle persone con disabilità gravissima  di poter avere assistenza  fornita dall’Ente pubblico anche per 24 ore al giorno. Che senso ha una buona legge inapplicata per carenza di fondi. Se Claudia fosse ricoverata  in una struttura sanitaria –assistenziale costerebbe alla collettività  300-400 euro al giorno essendo totalmente non autosufficiente, semprechè naturalmente la si voglia tenere in vita,  cosa cambia se quella stessa cifra fosse spesa per assumere persone che l’assistono a domicilio? Vorrei iniziare un confronto serio, costruttivo e concreto  con le istituzioni a questo scopo, vorrei poterlo fare senza dovermi rivolgere alla legge e alla Corte Europea  per avere riconosciuto il diritto di Claudia a rimanere nel contesto familiare senza dover penalizzare la sorella. A un genitore non si può chiedere di sacrificare la vita di un figlio per il benessere di un altro, ma quel genitore può e deve  chiedere alle Istituzioni di poter garantire a ognuno di loro il diritto a vivere una vita dignitosa e serena  senza che  la disabilità influisca  negativamente  sulla realizzazione di questa. Sono pronta a impegnarmi per questo e spero che altri genitori trovino la forza e il coraggio per fare altrettanto,  per una vera realizzazione  del futuro dei loro figli e per poter chiudere  gli occhi con serenità. Se invece  LA POLITICA ITALIANA pensa che dobbiamo togliere il disturbo eliminandoci che lo dica apertamente che ci organizziamo.
 
MARINA COMETTO
combot@alice.it


ALCUNI DEI TANTI COMMENTI
  • Gentile Signora, tutto il dolore e le preoccupazione da Lei espresse sono condivise da migliaia di cittadini, la soluzione che Lei propone, a mio parere e per l’esperienza personale di vita, mi fanno ritenere che sia la peggiore di tutte. Infatti nella società moderna non esistono persone con i equisiti per assistere una persona con i problemi di sua figlia. Le difficoltà e la solitudine di Claudia si accrescerebbero enormemente. Forse sarebbe meglio, che già da subito Lei si mettesse alla ricerca di una struttura sanitaria la più idonea ed UMANA ad accogliere la figlia in questo modo sia Lei che i fratelli di Claudia avreste la possibiltà di controllare l’idoneità dela struttura. Tutto questo perchè l’organizzazione del sistema della società attuale ha perso ogni forma d’umanità per dare il passo al cinismo, al denaro,alla crudeltà ed alla cattiveria. I Cittadini onesti ed intelligenti operando una forte pressione sui Governi possono modificare il sitema sociale con riforme drastiche. Per esempio creando al posto delle Forze Armate,di Polizia, Carbinieri, Vigili Urbani, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Guardie Forestali, Guardie Provinciali, istituire una nuova organizzazione Nazionale a difesa della collettività e del Cittadino pronta ad intervenire su ogni piccolo o grande problema in modo umano e dignitoso.


  • Adele, con il mio scritto non chiedo certo consigli o pareri su ciò che sarebbe meglio per mia figlia,io lo so bene , anzi benissimo qual è la soluzione migliore per assicurale cure, amore , considerazione e rispetto ,così come ha avuto per questi suoi primi 39 anni di vite. Certo è la soluzione che va bene per me e la mia famiglia e potrebbe non andar bene per altri, credo però che la libertà di opinione e volontà come genitore sia da rispettare.
    Che poi la nostra società non sia a misura umana ne sono consapevole, ma non è certo adeguandomi a quanto proposto e organizzato dalle istituzioni che garantisco la vita di mia figlia anche dopo di noi. Claudia rimarrà a casa sua anche quando noi genitori non ci saremo più, come? non arrendendomi al pensiero comune ma continuando a lottare per offrirle il meglio per una vita dignitosa adeguata alle sue condizioni. Nessuna struttura diventerà mai casa di Claudia perchè Claudia una casa c’è l’ha.


  • Guglielmo Pepe 2 giugno 2012 alle 19:29
    Marina, Francesca, Maria Pia, Adele, Rita, Chiara, Nadia, Maria.
    Noto e faccio notare ai lettori che le persone intervenute sulle condizioni di vita dei disabili e delle loro famiglie, sono tutte donne. È una conferma che il peso di tale situazioni, anche se non ricade quasi sempre esclusivamente sulle spalle femminili, coinvolge molto di più le donne degli uomini. E non solo materialmente, anche culturalmente e socialmente. Viene da pensare che se la situazione della vita “diversa” è tanto difficile, dura, dolorosa nel nostro Paese, è anche perché una parte della comunità, quella maschile, seppure non nella sua totalità, non si impegna come dovrebbe quando in famiglia c’è una persona disabile. Credere che “portare i soldi a casa” sia sufficiente per assolvere i propri doveri poteva, forse, essere una giustificazione, un paravento, quando le donne non lavoravano. Ora non pìù. E noi uomini dovremmo interrogarci e rispondere sulle nostre insufficienze e sulle nostre responsabilità.


  • Tratto da: http://www.repubblica.it/


     

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