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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

venerdì 5 ottobre 2012

Giuseppe Lo Muscio. Un.....diversamente normale

«Nonostante tutto non rinuncio al basket, anche su una sedia a rotelle»



Chiamarsi Giuseppe Lo Muscio. Avere 22 anni, abitare a Caselle Torinese, tifare in modo sfegatato il Toro, passare il tempo su Facebook e giocare in una squadra di basket…nulla di eccezionale, no? Sembrerebbe la fotografia di un adolescente qualunque, se non fosse che per un piccolo particolare: una carrozzina. Due ruote che catapultano immediatamente sotto un’altra etichetta: “disabile”. O “diversamente abile”.
A te piace quest’ultima definizione, Giuseppe?
«Ultimamente si usa di più questa definizione, al posto di “disabile”; ma a me non piace molto, perché nel nome stesso c’è il termine “diverso”, che mi fa sentire separato a prescindere dal resto delle persone. Invece io mi sento uguale, soprattutto a livello interiore: provo dei sentimenti, mi piace lo sport, ho delle passioni…in cosa quindi sarei diverso da qualsiasi altra persona? Certo ho dei limiti fisici che mi impediscono di poter svolgere tutto quello che vorrei, o comunque di poterlo fare da solo. Ma entro i miei limiti, e se possibile anche oltre, io voglio provare tutto!»
Parlaci delle tue passioni: come le vivi?
«Amo lo sport in generale, ma in particolare quello praticato da disabili: aver visto Oscar Pistorius (il campione paralimpico sui 100, 200 e 400 mt piani) gareggiare alle Olimpiadi di Londra nei 400 mt piani, anche se è arrivato ottavo, mi ha emozionato moltissimo; a livello simbolico il suo ingresso in una gara che è sempre stata per normodotati ci ha colpiti tutti, perché significa l’inizio di una nuova era. Per il resto sono un gran tifoso del Toro: a volte mi capita di riuscire ad andare a vederlo in qualche trasferta, ma quando gioca in casa non ne perdo una! Mi reco sempre allo stadio nella tribuna attrezzata per i portatori di handicap: del trasporto e del resto si occupa il Club “Tori Seduti”, al quale sono iscritto (gestito dall’associazione sportiva “SportDiPiù”), che si occupa di incoraggiare e diffondere la pratica sportiva tra le persone con disabilità fisica: non solo il calcio, ma anche l’atletica, l’handbike, il canottaggio, la scherma, il tennis, l’hockey, lo sci nordico, quello alpino e il curling. Io personalmente pratico il basket in carrozzina nella società sportiva UICEP Torino, ma al di là di questo penso che la cosa più importante sia di informare le persone in situazione di handicap che hanno moltissime possibilità per seguire le loro passioni e superare i loro limiti, se solo lo vogliono. E’ uno dei motivi per cui come tesina per la quinta superiore, che ho fatto all’IPSCTS “I.P. Giulio” di Torino, ho deciso di affrontare il tema dello sport nel mondo dei disabili, e la commissione l’ha apprezzato tantissimo. Quello che più mi dispiace, infatti, è vedere pochi disabili in giro per Caselle: io so che ci sono, ma perché restano chiusi in casa? Perché si vergognano? Dovrebbero uscire, confrontarsi coi normodotati e non, al contrario, avere paura di loro! Il confronto con i normodotati li arricchirebbe molto, li aiuterebbe a superare i loro limiti, a dare il massimo, a ricevere anche aiuti e consigli».
Io pensavo che fosse più facile che l’imbarazzo, la paura, se vogliamo chiamarla così, fossero dei normodotati. Tu non credi?
«Ma è normale che i normodotati non s’avvicinino a noi di loro spontanea volontà! Non sanno cosa vuol dire essere disabili, non avendolo mai provato, e quindi non sanno, giustamente, come comportarsi: dobbiamo essere noi disabili ad andare da loro, raccontare la nostra storia e quindi noi stessi, e creare un ponte! Quando ho cominciato la scuola superiore i miei compagni mi stavano lontani; sono stato io ad andare da loro, a dire: “Ciao, sono Giuseppe, ti spiego perché sono in carrozzina e cosa vuol dire viverci”, e da lì è nata la nostra amicizia. Con la scuola abbiamo anche creato un cortometraggio, intitolato “Come un vulcano” (n.d.r.: regia di Federico La Rosa, premiato al Sottodiciotto Film Festival), proprio sul tema della disabilità ma vissuto al contrario: un nostro compagno ha dovuto recitare in carrozzina (la storia narra di un giovane che dopo un incidente si trova a dover ridare un senso alla propria vita), ed è stata un’enorme esperienza per noi in carrozzina spiegargli il nostro mondo, e per lui doverlo vivere per il tempo delle riprese».
Quindi secondo te devono essere i portatori di handicap ad “avere pazienza” e andare incontro alle altre persone?
«Assolutamente si. Tant’è che con la mia famiglia e altre di Caselle abbiamo in passato aperto lo sportello informa handicap, presso l’informagiovani di via Torino 1, e nel corso degli anni abbiamo deciso di dare vita a una cooperativa sociale che ora si è trasformata in associazione, “La Stella Polare” l’obiettivo di “La Stella Polare” è organizzare iniziative che agevolino le informazioni ai disabili e alle loro famiglie, che promuovano lo sport per disabili e che semplifichino e medino l’avvicinamento tra disabili e normodotati. Per questi motivi abbiamo scritto un libro intitolato “Disabile, chi io?! – guida informativa sul mondo della disabilità”: il fine è aiutare persone in situazione di handicap e le loro famiglie a muoversi in modo consapevole nei vari ambiti della vita di un disabile: scuola, sanità, tecnologie, sport e tempo libero, vacanze, trasporti e mobilità…, Ma il libro può servire a qualsiasi altra persona a comprendere meglio il nostro mondo, le nostre esigenze e i nostri bisogni. Inoltre l’associazione organizza un corso di computer a Caselle aperto a chiunque, e diverse iniziative sportive all’interno delle manifestazioni della città di Caselle, come “A ruota libera”, che nel 2013 sarà alla sua decima edizione».
Ti sei mai sentito scoraggiato, hai mai pensato “No, è troppo difficile, non ce la faccio, getto la spugna”?
«No. Mai. Forse in ciò sono davvero un “diverso”, ma in questo caso ne vado fiero».
Tratto da
 

Notiziario on line di Ciriacese, Canavese, 
Valli di Lanzo e cintura Nord di Torino
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